L’Unità d’Italia e le opinioni del territorio

Nel dossier curato dalla Fisc l'opinione della Puglia espressa dal nostro Direttore

Nei settimanali Fisc le voci delle regioni
 
L’Unità non si discute. Ma è un dato su cui lavorare. In due direzioni.
Prima di tutto nella ricerca storica sul lungo Risorgimento. Dall’Umbria si ricordano le perplessità sul ‘come’, cioè sulle modalità di un evento che peraltro non poteva non compiersi approfi ttando rapidamente di una inopinata fi nestra di opportunità geopolitica europea. La seconda direzione di lavoro e di rifl essione è conseguentemente sui traguardi dell’Unità, oggi e in prospettiva.
Il giro d’Italia attraverso la voce così rappresentativa e radicata dei giornali del territorio appartenenti alla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc) dimostra insomma, come si afferma dalla Calabria, che ‘l’Unità d’Italia è cominciata ad essere un dato acquisito, ma non ancora del tutto concluso, solo lungo il tempo’. Bisogna darne una lettura realistica e dinamica. Dal Piemonte si sottolinea che occorre ancora molto studiare ‘per ottenere pagine di rivisitazione che aiutino tutti a capire, a bocce ferme’, magari ricominciando a ‘ricostruire il sentire della gente’.Che oggi sembra disilluso e disorientato.
Si scoprono così i tanti fi li che legano l’Italia nel senso dell’immigrazione interna, della mobilità. Lo sottolineano dall’Abruzzo, Molise e Basilicata, ma anche dallo stesso Veneto, all’avanguardia nella rivendicazione neofederale, fi no a punte di secessione: ‘non si può ignorare che il Veneto è diventato forte non da solo, ma
inserito in uno scambio attivo con tutto il Paese’. Ecco la radice del federalismo richiesto oggi, nel cui ambito risolvere anche la questione meridionale: un federalismo soprattutto concreto, realizzativo, fattivo. In realtà l’Unità comincia nel 1848 quando una porzione signifi cativa ed attiva della classe politica e dirigente
del Regno delle Due Sicilie è costretta all’emigrazione, in particolare proprio a Torino. Di qui un rapporto necessario, ma squilibrato, che si ripropone al momento dell’unifi cazione e poi in tutti i passaggi più signifi cativi della nostra vita nazionale.
Allora dall’Irpinia ci si chiede: ‘Come si fa a dividere ciò che nessuno ha mai unito?’. Non festeggiamenti, dunque, ma una ricorrenza, in vista di quel federalismo ‘solidale’ di cui tutti parlano ma di cui i tratti, i costi e i benefi ci non sono ancora chiari.
Servono insomma ‘più grandi orizzonti’: alla ‘disaffezione nei confronti dei valori civili che non risparmia quello dell’Unità d’Italia’, si nota da Genova, non si può che rispondere in termini di nuove prospettive prima di tutto europee.
D’altra parte il Risorgimento è stato un grande evento italiano ed europeo, in cui il contributo cattolico è stato di primo piano. Dalla Lombardia si ricordano tanti santi preti impegnati per la libertà. ‘Eppure, nonostante questo forte movimento unitario ‘ si sottolinea dalla Puglia ‘ le aspettative post-unitarie andarono
bene presto deluse, sia negli ambienti ecclesiastici aperti, sia nella stessa popolazione’.
Così da Roma si ricorda come i cattolici via via diventano ‘forza unitaria’, fi no alle splendide pagine di Giovanni Paolo II nella grande preghiera per l’Italia del 1994.
Si legge insomma in tutti gli importanti e vivissimi contributi provenienti da tutte le regioni d’Italia un doppio movimento, in cui il bilancio critico e l’affermazione delle prospettive stanno insieme in termini fi duciosi, ma franchi e realistici: c’è consapevolezza di una posta in gioco assai rilevante. È un po’ il senso di questo
centocinquantesimo: un ‘giubileo’, ma non ‘tondo’, come per i cento o i duecento anni. È una data insomma quasi di passaggio, che invita più alla rifl essione che alla celebrazione. Dalle regioni più tradizionalmente ‘autonomiste’, Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta, si sottolinea che i temi dell’Unità oggi non sembrano prioritari nell’agenda delle persone. Quel che conta è la capacità concreta di risposta alle emergenze dell’oggi.
Così dalla Toscana si ricorda ‘una silenziosa assuefazione ad una sorta di secessione morbida’, sottolineando però che ‘preservare l’unità territoriale senza i cattolici non è impresa possibile’. Come non è possibile, si legge nel contributo dall’Emilia Romagna, non ragionare oggi e in prospettiva in termini di ‘laicità positiva’, rilanciando appunto il valore dell’identità cristiana, in termini aperti e comprensivi. Anche perché, si ribadisce  alle Marche, c’è un percorso di civiltà e d’identità italiana millenario, di cui l’Unità rappresenta un nuovo innesto. Che però è sempre atteso alla prova dei fatti e, dunque, dei frutti.