Giornata del Seminario diocesano

Domenica 19 gennaio 2014

di don Michele Amorosini, rettore

Ogni viaggio ha un punto di partenza e un punto di arrivo, con le sue tappe, le sue soste, il suo traguardo. La traccia formativa è come la segnaletica che indica il percorso da compiere durante l’anno con i suoi obiettivi e le sue mete. Provate ad immaginare di fare un’escursione in montagna: prima si trova un tratto percorribile anche in auto, poi si arriva ad un punto dove, lasciato il mezzo di trasporto, si può proseguire con la cabinovia, ma non si è ancora raggiunta la vetta! Resta da scalare l’ultimo tratto a piedi con tanta buona volontà e tanto desiderio. Non importa la fatica, si vuole arrivare in cima per poter ammirare il panorama che si presenta innanzi! È questo desiderio che spinge a proseguire. Solo chi è stato in montagna, può immaginare lo spettacolo meraviglioso a cui può assistere una volta arrivato su in cima.

Ebbene la traccia formativa è un po’ come una bella passeggiata in alta montagna in una giornata assolata di estate, faticosa ma sicuramente entusiasmante: se ci si mette in gioco con tanta buona volontà, con le sue tappe e le sue soste ci si ritempra e si attingono nuove energie per proseguire. È una esperienza unica, perché in questo cammino educativo il capo cordata è Gesù, esperto dell’alta quota! Chi meglio di Lui può aiutarci a vivere questo percorso intessuto di relazioni e di nuove esperienze? Il suo amore è pieno di fiducia nelle possibilità di bene degli uomini, di ciascuno di noi e prende la forma della dolcezza, dell’accoglienza. Gesù nelle relazioni cerca sempre di destare in chi gli sta davanti le energie migliori del suo cuore. Egli cerca di far emergere dal profondo di ognuno le domande vere che possono metterlo sulla strada della verità. Gesù fa sentire le persone che incontra come uniche. Sono incontri che si intessono di dialoghi, con le parole dell’umiltà, con il linguaggio della vita quotidiana, con gesti più efficaci di ogni discorso.

“Relazione” oggi è tra le parole più usate. Noi esistiamo grazie alle relazioni, sono esse che ci aiutano a crescere. Anche la vocazione è una storia di relazioni con Dio, con se stessi, con gli altri e con tutto ciò che ci circonda. Nel vivere armonico di tutte queste relazioni si può scoprire la propria chiamata.

Dopo aver esaminato e approfondito durante il cammino dei due anni precedenti le virtù della giustizia e della prudenza, quest’anno stiamo approfondendo la virtù della fortezza.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1808 afferma che la fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli, nella vita morale. La pigrizia, la viltà e la paura sono tutte nostre nemiche nel cammino di bene e di bontà, ma la fortezza ci aiuta ad opporci a tutte queste debolezze dello spirito. Per ogni cristiano il bene, il vero e supremo bene è il Signore Gesù nostro unico Salvatore. Qui parliamo della fortezza che non è la supremazia dei muscoli, del denaro, della tirannia, ma di una fortezza spirituale che ci viene dall’alto e che conferma la risposta sicura e incrollabile agli interrogativi che San Paolo si pone nella lettera ai Romani, capitolo 8,35-39: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo?“. Non le tribolazioni né i pericoli, non la fame né la nudità e neppure la spada. Nulla, dunque. Certo, quando uno non prega, non legge a dovere la Bibbia, non frequenta la Santa Messa domenicale e i sacramenti, rischia sempre di rinnegare il vero Dio e di mettersi tra coloro che rifiutano lo Spirito Santo. La virtù della fortezza ci aiuta ad essere coraggiosi nell’affrontare “la buona battaglia della fede”. Rivestirsi della forza di Dio rende l’uomo capace di testimoniare ogni giorno il suo amore.

L’icona biblica che sta accompagnando il cammino è il testo di 1Sam 17, il racconto del combattimento tra Davide e Golia e la vittoria del giovane guerriero. è una narrazione drammatica e significativa nello stesso tempo. Quello che il testo sacro ci vuole comunicare è l’importanza di coltivare in noi la Speranza teologale. La vittoria è di Davide per due ragioni interagenti: tutta la sua forza Davide la ripone nel Signore, ma tutto quello che da parte sua può utilizzare, è con prontezza e sagacia che lo utilizza! Sono mezzi poveri. D’accordo! Ma è su Dio che egli conta, è Lui la sua fortezza, e sa che anche questi mezzi, usati bene, gli daranno di perseguire ciò che è bene sia perseguito, nel nome di Dio e per la sua gloria.

Nel compiere questo viaggio vogliamo farci aiutare dall’esempio di S. Giovanni Bosco. Il 30 settembre scorso è arrivata a Molfetta l’urna contenente la reliquia di questo grande educatore. Un evento di grazia per tutti! Una caratteristica di S. Giovanni Bosco è il sogno, dimensione che lo accompagnò in tutta la sua vita.

Il documento: Nuove Vocazioni per una nuova Europa al n. 4 dice così: «Forti di questa speranza ci rivolgiamo a voi, ragazzi, adolescenti e giovani, anzitutto, perché nella scelta del vostro futuro accogliate il progetto che Dio ha su di voi: sarete felici e pienamente realizzati solo disponendovi a realizzare il sogno del Creatore sulla creatura». Ebbene questo vuole essere anche il mio augurio non solo per i seminaristi, ma anche per tutti i ragazzi e i giovani perché, con l’aiuto di Maria Madre della Tenerezza e di S. Giovanni Bosco, sappiate sognare alla grande e che soprattutto facciate vostro il sogno di Dio!