Cristiani in Libia piccolissimo gregge in serio pericolo

di Patrizia Caiffa

Ventuno egiziani copti uccisi in Libia dai miliziani dell’Isis, un Paese completamente destabilizzato e nelle mani degli estremisti, gli italiani evacuati e già sbarcati in Sicilia. Tranne il vescovo Giovanni Innocenzo Martinelli che ha scelto di non abbandonare gli ultimi 300 cristiani, tutti filippini, rimasti a Tripoli. Soffiano rischiosi venti di guerra in Europa e nelle ore molto delicate in cui si dibatte sull’eventualità o meno di un intervento armato in Libia, c’è grande preoccupazione ovunque. Papa Francesco è oggi intervenuto sull’uccisione dei 21 egiziani copti, “assassinati per il solo fatto di essere cristiani”, il cui sangue “è testimonianza di fede”. E mons. Martinelli, parlando alla Radio Vaticana, ha lanciato un appello affinché “la comunità internazionale sia capace di lanciare un dialogo con questo Paese che si è diviso e fa fatica a ritrovare innanzitutto l’unità interna”.

Cristiani in fuga. Il cristianesimo ha messo radici in Libia con l’inizio dell’era cristiana: il Vangelo cita un certo Simone di Cirene (la Cirenaica è una regione libica) che aiutò Gesù a portare la croce al Golgota e negli Atti degli Apostoli si dice che a Gerusalemme, il giorno della Pentecoste, vi erano fedeli provenienti da Cirene. Con l’avvento dell’islam il cristianesimo scompare dalle coste meridionali del Mediterraneo ma poi vi torna nel Medioevo, con fasi alterne di persecuzioni e tranquillità. Con la conquista italiana della Libia durante il ventennio fascista aumenta molto il numero di cattolici nel Paese. In quel periodo la Santa Sede istituisce, oltre al vicariato apostolico di Tripoli già eretto nel 1630, anche le circoscrizioni ecclesiastiche di Bengasi, Derna e Misurata. Durante il regime di Gheddafi le stime che circolano indicavano la presenza di circa 50mila cristiani in Libia, la maggioranza lavoratori migranti subsahariani, occidentali o asiatici, ma si pensa fossero molti di più, visti i flussi migratori. Dopo l’intervento armato occidentale e l’uccisione di Gheddafi la situazione è cambiata, molti lavoratori stranieri sono rientrati dei rispettivi Paesi a causa dell’instabilità crescente. L’Annuario pontificio indicava la presenza di 156mila cattolici nel 2010, diventati 13mila nel 2013.
 
Cir, tra i migranti un terzo sono cristiani. Anche il Cir, il Centro italiano per i rifugiati, sta valutando in questi giorni se chiudere o meno la sua sede a Tripoli, dove sono ora due operatori, un libico e un iracheno, mentre l’altro operatore italiano doveva rientrare in Libia ma è rimasto in Italia. I media italiani parlano di circa 200mila migranti in attesa di partire dalla Libia verso l’Europa, secondo Gino Barsella, responsabile dei progetti nordafricani del Cir, che di solito si muove tra l’Algeria e la Libia ma in questo periodo è a Roma, “un terzo sono cristiani”. “Siamo molto preoccupati”, dice al Sir: “Dal 2009 ad oggi non abbiamo mai lasciato la Libia, speriamo di non doverlo fare ora. La questione della presenza dell’Isis in Libia è seria, perché è crollato tutto il sistema interno, non c’è più un governo stabile. L’unica via d’uscita è coinvolgere i libici nel dialogo e avviare una via diplomatica. Non credo che un intervento armato possa risolvere la situazione”. Barsella teme che l’Isis abbia intenzione “di conquistare l’Europa. Dobbiamo preoccuparci seriamente. Si muove e guadagna spazi in Libia perché, come la Siria, è un Paese destabilizzato, mentre in Egitto e in Algeria viene contrastato da eserciti forti”.
 
L’unica strada è il dialogo. “I cristiani in Libia non hanno mai avuto problemi – ricorda Barsella -. Ai tempi di Gheddafi la Libia rimpatriava ogni anno 35/40.000 migranti subsahariani. Sicuramente almeno 20.000 l’anno erano cristiani. Oggi ce ne sono molti tra i migranti subsahariani, provenienti da Nigeria, Ghana, Eritrea, che però sono incanalati nei percorsi gestiti dai trafficanti e non hanno nessuna possibilità di andare in chiesa”. Di solito, racconta, “la domenica e il venerdì la cattedrale di Tripoli era pienissima di africani, tra cui molti che lavoravano in Libia. Ora, di fronte all’avanzata dell’Isis, la situazione è cambiata molto. Quasi tutti i cristiani sono scappati, tranne i 300 filippini, il personale della Chiesa, le suore”. Barsella invita, a livello culturale, “a non fare di tutta l’erba un fascio, accomunando i musulmani ai terroristi, altrimenti si fa il gioco dell’Isis. Bisogna invece dialogare e lavorare insieme al mondo musulmano, che è consapevole di avere al suo interno un cancro. Noi invece continuiamo a discriminare e questo non aiuta”.