Documento dell’AC diocesana in riferimento al registro delle unioni civili a Molfetta

a cura della Presidenza diocesana

Dallo scorso anno l’Azione Cattolica è inserita nel FORUM AGENDA XXI, che a Molfetta raccoglie associazioni, gruppi e singoli cittadini interessati ad una partecipazione attiva alla vita della città. Nell’ambito della riflessione avviata all’interno del gruppo del Forum “Cultura e coesione sociale” circa l’istanza dell’istituzione di un Registro delle unioni civili a Molfetta da presentare all’Amministrazione comunale, l’Azione Cattolica ha fornito il proprio contributo manifestando dubbi e perplessità sull’opportunità di tale registro e sui limiti del documento stilato per accompagnare tale richiesta, dichiarandone la non condivisione e dissociandosi da essa. Riportiamoqui di seguito la posizione assunta, stralciando i passaggi fondamentali della nota inviata al Forum in data 29 giugno 2015.
 
Con la presente nota confermiamo le nostre perplessità: il documento nella sua versione attuale e tutta la riflessione fatta nell’ambito del Forum, ci sembrano parziali e non rispondenti alla complessità dell’argomento, che richiederebbe maggiore approfondimento e una conoscenza più dettagliata e circostanziata, supportata da riferimenti legislativi, dei contenuti trattati.
 
Sulla questione in generale, ribadiamo che lo strumento del Registro delle unioni civili, ad oggi, ha un mero valore dichiarativo e non ha alcun riconoscimento giuridico in Italia; a tal proposito ci sembrano illuminanti le riflessioni di molti assessori di grossi comuni italiani dove il registro è stato già istituito, dalle quali emerge in tutta sincerità l’assoluta limitatezza della scelta. (http://www.repubblica.it/cronaca/2013/06/01/news/il_flop_delle_unioni_civili_solo_duemila_in_tutta_italia-60106058) Cristina Spinosa, assessore al Comune di Torino, Cristina Giachi assessore di Firenze sottolineano come il registro è soprattutto un simbolo istituzionale, in quanto la realtà è che non ci sono particolari benefici ad iscriversi, anche perché, in materia di diritti, i comuni non possono fare molto. Ed è per questo che ci vuole una legge nazionale sulle unioni civili. Ancor più interessante il contributo di Giuseppina Tommasielli, assessore di Napoli, che mette in evidenza come l’unione civile registrata, in alcuni casi toglie diritti invece di aggiungerli; si possono infatti smarrire alcune tutele, quali ad esempio il diritto all’assegno per le ragazze madri. Come si può notare dalle riflessioni, seppur di qualche anno fa, c’è da parte di tutti il rimando alla necessità di un percorso legislativo nazionale che dia sostanza al “simbolismo” dell’istituzione del registro.
 A tal proposito, tutti ben sappiamo che esiste un disegno di legge, Decreto Cirinnà, che vuole regolamentare la convivenza e le unioni civili, attualmente alla discussione del Parlamento.
 
Ci chiediamo, pertanto, perché spingere l’Amministrazione a fare qualcosa di puramente simbolico, ma privo di fondamenta giuridiche ed invece non aspettare semplicemente l’approvazione di tale legge, che, al di là di ogni valutazione positiva o negativa, incasellerebbe riconoscimenti vari dentro il perimetro della legittimità giuridica?
 
Siamo convinti dell’assoluta importanza di “garantire i diritti civili e sociali a tutti i cittadini, senza discriminazioni”, ma non è utile a nessuno far passare il Registro come una battaglia per il riconoscimento di diritti che, nel nostro Codice Civile, in realtà, ci sono già. Già nella legge in vigore, infatti, previa una semplice dichiarazione di convivenza all’anagrafe, essi si estendono alla protezione e al risarcimento del convivente e si parla di conviventi di ogni tipo, persone non necessariamente legate tra loro da vincoli di matrimonio, ma da parentela, affinità, adozione, tutela o vincoli affettivi, anche dello stesso sesso, che convivono nella stessa casa e hanno la residenza nello stesso Comune. Il regolamento anagrafico (30 maggio 1989), spiega in modo inoppugnabile che «l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza»; in materia di assistenza sanitaria la Legge 91 del 1 aprile 1999 prescrive che i medici devono fornire «informazioni sulle opportunità terapeutiche…al coniuge non separato o al convivente», la Legge n. 8 del 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità”, riconosce il permesso retribuito di tre giorni all’anno al lavoratore e alla lavoratrice, anche in caso di documentata grave infermità del convivente, la Legge 405 del 1975 garantisce assistenza psicologica e sociale per i problemi della coppia e della famiglia anche ai componenti di una convivenza, le norme sull’ordinamento penitenziario (Legge 354 del 1975), prevedono possibilità di colloqui, corrispondenza telefonica al «convivente detenuto», alle stesse condizioni stabilite per il coniuge. Nessuna differenza sul piano legislativo per quanto riguarda la tutela dei figli tra genitori regolarmente sposati e conviventi; addirittura la Legge 6 del 2004, nell’elencare chi deve essere preferito come amministratore di sostegno di una persona priva di autonomia, inserisce «la persona stabilmente convivente», subito dopo il coniuge e prima del padre, della madre, dei figli, dei fratelli. Relativamente alla successione la Consulta, con la sentenza 404 del 1988, ha riconosciuto al convivente il diritto di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del partner, anche quando sono presenti eredi legittimi; il diritto di chiedere le provvidenze che lo Stato accorda alle vittime di mafia o di terrorismo è stato esteso, dalle Legge 302 del 1990, anche ai conviventi: «L’elargizione di cui al comma 1 è disposta altresì a soggetti non parenti né affini, né legati da rapporti di coniugio… e ai conviventi»; oltre al coniuge, ai genitori, ai fratelli e alle sorelle, anche i conviventi figurano nell’elenco previsto dalla Legge 44 del 1999 per le «vittime di richieste estorsive o di usura». E approfondendo ancora il panorama legislativo italiano figurano esserci già ampie garanzie per quanto riguarda, l’assegnazione degli alloggi popolari, l’impresa familiare, il risarcimento del danno patrimoniale, la protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia.

Con riferimento alle unioni omosessuali, esplicative sono la sentenza n. 138/2010 della Corte Costituzionale e la sentenza n. 4184/2012 della Suprema Corte di Cassazione, con le quali, di fatto, si sostiene che i componenti di una unione omosessuale sono titolari del diritto alla vita familiare, del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, anche a prescindere dall’intervento del legislatore in materia.
Dunque le domande (alle quali nessuno ha saputo darci reali risposte sinora) sono: a cosa serve veramente un registro delle unioni civili? Quale garanzia in più offre rispetto all’attuale ordinamento in vigore?
 
Sicuramente come Azione Cattolica eravamo e siamo pronti a proseguire un dibattito ed un percorso di approfondimento su queste tematiche, senza pregiudizi, anche magari estendendo la riflessione al tessuto cittadino, provando a pensare a forme di ampia consultazione popolare sull’argomento.
D’altra parte, però, chiediamo chiarezza e un confronto aperto, non già ideologicamente compromesso.