Andar per chiese, l’arte a servizio del mistero dell’Incarnazione

di don Michele Amorosini*

«Cristo è apparso nella carne: è Lui nostra vita in tutto. La sua divinità è vita, la sua eternità è vita, la sua carne è vita, la sua passione è vita. La sua morte è vita, la sua ferita è vita, il suo sangue è vita, la sua sepoltura è vita, la sua resurrezione è vita di tutti. É Lui il chicco che si è dissolto, è morto nel suo corpo per noi, per produrre in noi una messe abbondante». (S. Ambrogio, Commento ai dodici salmi – salmo 36,36-37). Queste espressioni del Vescovo di Milano sono una mirabile sintesi del mistero del Natale: Cristo nasce per poi morire e offrire la sua vita esclusivamente per amore. Lui è la nostra vita! È Egli stesso la vita! (cfr. Gv 14,6). Un mistero da accogliere e da adorare, quello del Natale. Un evento che va contemplato con lo stupore dei pastori, con l’innocenza dei bambini. Per comprendere la grandezza di questo mistero c’è solo un modo, quello di farsi piccoli. È un Dio che ci sorprende nei segni dell’umiltà e della povertà e che affascina tutti, piccoli e grandi. Bisogna lasciarsi scomodare da questo Bambino che è nato e lasciare che cresca dentro di noi. La Parola fatta carne viene ad abitare la nostra vita e la nostra realtà! Avvolto in fasce chiede di essere riconosciuto e accolto.
Il mistero dell’incarnazione per idea del Poverello di Assisi fu rappresentato per la prima volta a Greccio nel 1223. Fu S. Francesco ad “inventarlo”.
Egli si trovava a Greccio, in un eremo francescano tra Terni e Rieti. Vedendo una grotta gli venne l’idea di rappresentare la Natività di Gesù. Nasce così il primo presepe della storia. È Tommaso da Celano nelle Fonti Francescane a raccontarcelo: «La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo. Meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro.
A questo proposito è degno di perenne memoria e di devota celebrazione quello che il Santo realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale del Signore. C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione portando, ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. (Dalla vita di Francesco – Fonti Francescane 84 – 86).
Da quell’evento unico e particolare ha avuto inizio la tradizione del presepe che ogni anno durante il Tempo di Avvento, si realizza nelle famiglie e in tutte le Comunità cristiane. Ma il tema dell’Incarnazione del Signore ha avuto molteplici espressioni nell’arte. In molte chiese, e non solo in quelle francescane, è presente la raffigurazione della natività con diverse varianti: l’annuncio ai pastori, l’adorazione dei pastori, l’epifania, la fuga in Egitto, il riposo della Santa Famiglia…Numerosi artisti hanno raffigurato, ognuno secondo il proprio genio, rileggendo i testi evangelici, la nascita del Salvatore. Nella pittura e nella scultura si assiste ad una vera e propria arte del presepe, senza dimenticare le varie tecniche di realizzazione delle statuine che vede nella tradizione partenopea un esempio emblematico.
Numerose sono le opere nelle chiese della nostra Diocesi che costituiscono un percorso spirituale. Nell’ammirarle, aiutano a meditare il mistero di Dio che si fa carne.
Tra le più importanti nella Cattedrale di Molfetta, sul presbiterio sono collocate due tele raffiguranti l’una l’Adorazione dei Pastori di Vito Calò e l’altra l’Epifania di Paolo Lanari. Sempre a Molfetta, nella chiesa francescana di S. Bernardino, l’Adorazione dei pastori di Gaspar Hovic, la copia della trafugata tela di Francesco Cozza della Madonna del Cucito e quella della Fuga in Egitto ; l’Adorazione dei Magi di Nicola Porta presente nella Basilica della Madonna dei Martiri. A Terlizzi nella chiesa di Santa Maria di Sovereto, la meravigliosa tela di Giovanni Gerolamo Savoldo raffigurante la Santa nascita e nella chiesa dell’Immacolata la preziosa tela dell’Adorazione dei pastori di Corrado Giaquinto. Così come del Gaspar Hovic è la tela dell’Epifania che si trova nella chiesa francescana di S. Michele Arcangelo a Ruvo di Puglia. Da visitare anche il Museo diocesano dove sono esposte diverse opere che hanno come tema la Natività e tra queste una tela seicentesca raffigurante la Santa Famiglia.
 
* direttore Ufficio diocesana Arte Sacra e Beni culturali
 
Il settimanale diocesano Luce e Vita n.44 del 25 dicembre, propone un percorso artistico-spirituale tra alcune opere presenti in diocesi