Chiamati a tradurre in vita il Vangelo

di Domenico Amato

Sono state pubblicate nelle settimane scorse alcune lettere inviate al direttore da parte di tre laici che ponevano il tema della afasia del laicato nel contesto della chiesa. Il tema non è certamente recente, ma interessa il fatto che a porlo siano stati dei laici che nelle proprie intenzioni volevano aprire un dibattito coinvolgendo quella parte di chiesa formata dagli adulti più o meno presenti e impegnati nelle parrocchie.

In apparenza sembra che il tentativo non abbia riscosso successo, eppure la domanda fondamentale rimane: come stare oggi da laici cristiani nella chiesa e nel mondo?

Durante il grande Giubileo del Duemila tenni una conferenza all’AC diocesana, poi ripresa e pubblicata nella rivista «Presenza Pastorale» in cui sottolineavo un certo clima di sfiducia che si era instaurato attorno alle aggregazioni laicali. E citavo il documento finale di un convegno nazionale sullo stesso tema di questo tenore: «A distanza di tempo i laici si domandano cosa sia accaduto nelle comunità cristiane che possa giustificare la loro percezione di una debole recezione delle indicazioni del documento frutto dell’Assemblea sinodale del 1987. Sono consapevoli della difficoltà che tutti incontrano nell’annuncio del Vangelo e sanno pure che, nonostante tutto, il peso della missione grava in buona parte sulle spalle dei presbiteri».

Oggi diverse immagini vengono usate per descrivere questa situazione: si parla del laicato come del “brutto anatroccolo”, oppure si parla di uno “scisma sommerso”, ma si fa fatica a cogliere cosa c’è dietro tutto questo. Due realtà vorrei cogliere per capire la fatica della testimonianza laicale. In primo luogo lo sconvolgimento del tempo, inteso come cronologia delle proprie giornate. Oggi una coppia che lavora e ha famiglia, fatica non poco a trovare tempo per sé. In un altro articolo la stessa Sig.ra Paparella lo faceva notare. Conciliare i tempi della formazione e dell’impegno diventa impresa ardua, lo sa molto bene chi deve mettere insieme un orario che sia confacente a tutti i membri di un gruppo. L’altra realtà riguarda l’accoglienza del magistero. Molte volte se ne ha una conoscenza molto sommaria derivante dai soli lanci di agenzia, quando non se ne ha una conoscenza distorta provocata da una lettura parziale e fuorviante di certi mass-media, abituati ormai solo alla polemica anticlericale.

Proprio su questo punto in passato, nella nostra diocesi si era creato un circui-to virtuoso al punto che il laicato, e in modo particolare quello formatosi nell’AC, si è impegnato negli anni ’70 a favorire il rinnovamento della catechesi, negli anni ’80 ha promosso la nascita di consigli pastorali e ha reso visibile la carità, attraverso la creazione delle caritas parrocchiali e delle iniziative diocesane a riguardo e sostenendo un volontariato che andava oltre i recinti ecclesiali. Era la stagione di don Tonino, ma era anche la stagione della “Sollicitudo rei sociali” e di “Chiesa italiana e prospettive del paese”. Infine negli anni ’90 il laicato cattolico ha sentito l’urgenza di rinnovare la politica.

E oggi? Qual è la prospettiva? In cosa i laici sono chiamati ad impegnarsi?

Da più di un decennio si parla di “progetto culturale”, ora indipendentemente dalle considerazione sulla forma che tale progetto ha assunto, rimane l’intuizione di una sfida che sta di fronte alla chiesa oggi, ed è il suo doversi misurare con la cultura, o meglio con le culture che attraversano il nostro paese e tutto l’occidente. Quanto si è capaci di accogliere questa sfida? E ancora, sarà anche un altro slogan, ma quello della “emergenza educativa” non è che sia problema che non ci venga sbattuto in faccia ogni giorno. Lo sanno bene proprio coloro che svolgono la propria professione nelle scuole.

Il forte passaggio che oggi si richiede ai laici, e ai laici aggregati in modo particolare, è quello di rendere vita ciò che il Concilio ha definito. Nel nostro caso ciò comporta il riproporsi sempre e continuamente la domanda: «che cosa è il mondo, come evolve, quali problemi pone?».

Un ultimo richiamo all’insistente appello alla lezione di don Tonino. Questa non può costituire semplicemente il termine di paragone tra quella stagione e tutte le altre stagioni a venire. Ci creerebbe solo una mortificante sindrome da inadeguati. Piuttosto la testimonianza che ci proviene da quel pastore sta nel fatto che nella comunione ecclesiale col magistero pontificio ed episcopale (don Tonino non si metteva a fare le pulci ai documenti magisteriali ma li accoglieva con entusiasmo) e nell’obbedienza al Vangelo ha saputo guardare con occhi liberi la realtà e spendersi per le necessità dei fratelli. Anche a noi si presenta la vigna del mondo, con tutte le sue meraviglie e con tutte le sue contraddizioni (diverse da quelli di 20 anni fa). è necessario però che anche i Pastori siano più disposti ad ascoltare, ad avere fiducia e a valorizzare le tante risorse ed esperienze che i laici maturano nel loro essere nel “saeculum”.

Con stile evangelico allora impegniamoci nella chiesa e nel mondo con la gioia di chi ha Cristo dalla sua parte. Poi discutiamo di tutti i problemi dentro e fuori la chiesa senza reciproche scomuniche, però.