Da Padre a figli: il saluto dei laici

Ferri Cormio e Angela Paparella

Caro Don Gino, nostro Vescovo, ti sei congedato da questa vita in punta di piedi, lasciando tutti nello sconforto.
La mitezza è stata la cifra del tuo servizio di pastore. Preferivi ascoltare, prima di parlare, accompagnare prima che dirigere. Non amavi il clamore, preferivi il dialogo personale agli incontri ufficiali.
In un tempo difficile per il lavoro che manca, per la difficoltà di sognare e progettare un futuro migliore del presente, per la famiglia sempre più cellula vitale su cui si scaricano le ansie di questo tempo, la tua testimonianza di uomo e di Vescovo ci insegna il senso dell’attesa paziente e della speranza misericordiosa nel Signore, nostro unico Salvatore.
Ti ricordiamo impegnato sui temi del lavoro, quando raccontavi dei tanti papà e delle mamme che ricevevi preoccupati  per la mancanza di un’occupazione, per il soddisfacimento di un diritto inviolabile che rende ogni uomo e ogni donna liberi. La narrazione poi diventava triste, perché sinceramente confessavi di non riuscire ad offrire loro una reale prospettiva; poi il tuo volto si ravvivava perché in fondo eri consapevole di aver dato loro la speranza di una Chiesa pellegrina, che si affianca alle fatiche dell’uomo, non cerca scorciatoie, non accetta compromessi a scapito della dignità.
Erano i giovani il tuo costante punto di riferimento, le loro attese, il futuro incerto, la fragilità affettiva e relazionale, l’impossibilità per tanti di loro di costruire una famiglia per mancanza di stabilità economica.
Quanta amarezza nelle tue parole e nelle continue riflessioni sui temi caldi della famiglia. Hai avuto coraggio caro don Gino, ad avviare percorsi di accompagnamento spirituale per l’amore ferito, in una Chiesa che si fa prossima alle sofferenze del mondo, che non ne rimane impigliata e succube ma che rilancia, fondando la sua proposta sulla forza dell’amore tra un uomo e una donna, come unico amore che genera la vita e per questo è benedetto da Dio.
Con noi laici hai mantenuto un confronto aperto, schietto, diretto, tra padre e figli, figli che ogni tanto scalpitano e non aspettano e chiedono una Chiesa missionaria e profetica e un padre che suggerisce pazienza, tempi lunghi, riflessione, visione globale, accoglienza delle fragilità della casa comune. Un dialogo ininterrotto il nostro, con discussioni e confidenze, tensioni e schiarite, nel segno di una comune preoccupazione e ansia pastorale. 
Un dialogo ininterrotto, continuamente e fortemente cercato, voluto, richiesto, provocato, con un Pastore schivo, caratterialmente timido, non avvezzo all’intervento immediato eppure, molto più di quanto desse a vedere, sempre presente nelle occasioni importanti, informato, sensibile, attento. Capace di stupire con il suo appoggio a prese di posizione determinate e coraggiose, come di inquietarsi e rimproverare per ricondurre nell’alveo di un sentire comunitario.
Abbiamo sempre sentito su di noi il tuo sguardo, don Gino, come quello di un padre che sembra ti segua da lontano, ma è solo rispettoso della tua libertà e soprattutto si accorge che cresci. Nei nostri riguardi abbiamo colto in te l’atteggiamento di quei genitori che baciano i loro figli quando dormono. A volte la tua è stata una carezza appena percepita. A volte avremmo desiderato una manifestazione più esplicita di quell’affetto che sentivamo reale e cercavamo avidamente di far emergere, portare allo scoperto.
Ma il segno, l’impronta di quella carezza discreta, leggera, la portiamo indelebile nel cuore.
Grazie.