don Pappagallo “Giusto tra le Nazioni”. Non contrapponiamo i martiri

di Luigi Sparapano*

La pubblicazione dell’articolo di Renato Brucoli “Don Pietro Pappagallo, Giusto tra le Nazioni” sul sito diocesano il 15 luglio 2018, è stata un’iniziativa del sottoscritto che, avendo ricevuto l’informazione, ha chiesto all’autore di poterla pubblicare. Scelta confermata e rilanciata anche sui social. Parliamo di un sacerdote originario di una città della Diocesi che ha sacrificato la sua vita per una giusta causa, in difesa di valori universali quali “la solidarietà, l’accoglienza, la fratellanza, la giustizia, la libertà”. Era il minimo che si potesse fare e non solo perché trattasi di un sacerdote. Del resto nelle ore successive ne hanno scritto anche l’Osservatore Romano, Avvenire e Vatican news, per stare solo su testate cattoliche. Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000 ha incluso don Pietro Pappagallo tra i martiri della Chiesa del XX secolo.

La richiesta di rifiutare il riconoscimento e le osservazioni addotte dal Centro Sociale “Il Fronte dei Ribelli” di Terlizzi, con conseguenti repliche e controrepliche (consultabili sulle testate on line terlizzesi), vanno in un’altra direzione e accostano questioni che andrebbero tenute separate.

Il merito di don Pietro Pappagallo è di universale valore e gli stessi autori del Centro Sociale (peccato non poter interloquire con nomi e cognomi) lo riconoscono. Esso è riferito ad un preciso momento storico (purtroppo non unico) che ha segnato il declino dell’umanesimo.  Alla domanda “Dov’era Dio?” durante la Shoah, Elisa Springer, proprio in un dibattito che ebbe luogo in una scuola di Ruvo, rispose con pacatezza che la vera domanda da farsi è “dov’è l’uomo?” quando si riduce a carnefice dell’altro uomo. Don Pietro ha dato la vita per dire che Dio è lì dove l’uomo è più provato, più vilipeso, più martoriato.

In questa prospettiva possiamo certamente discutere dei valori umani che continuano ad essere traditi nel lungo conflitto israelo-palestinese. Condividiamo l’amarezza di una popolazione, come quella di Gaza, tenuta prigioniera a cielo aperto e privata di diritti sacrosanti. Ne parlo a ragion veduta essendo stato poco più di due anni fa alcuni giorni a Gaza, incontrando e parlando con bambini, ragazzi, giovani, donne e anziani che vivono una tragedia umanitaria che non fa notizia. È di questi giorni una desolante intervista del parroco di Gaza, don Mario de Silva, che ho conosciuto e che venero per la sua testimonianza, il quale riferisce delle condizioni ancora più restrittive cui sono sottoposte le persone, con sole quattro ore al giorno di energia elettrica e con la riduzione di cibo in seguito alla decisione dell’Egitto che ha chiuso a sorpresa il valico di Rafah, dopo che Israele ha inasprito la chiusura di quello commerciale di Kerem Shalom: “precluso dunque fino a domenica l’ingresso dei combustibili, in un contesto dove già scarseggiano in modo drammatico cibo, medicine, beni essenziali e dove i dipendenti pubblici, ha denunciato il parroco di Gaza, non ricevono lo stipendio da mesi”.

Del resto anche il Papa e gli altri Pastori delle Chiese separate hanno lanciato un ennesimo appello proprio da Bari il 7 luglio scorso: «Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli».

Il desiderio di “aver preso le difese degli oppressi, contestualizzando la memoria e rendendola viva” espresso dal Centro sociale è da rispettare, ma questo non confligge con il riconoscimento a don Pietro Pappagallo, la cui storia è stata ricostruita anche grazie all’impegno di Renato Brucoli. E lascerei stare improbabili confronti, fatti dal Fronte dei Ribelli, con Giovanni Falcone e Cosa Nostra. Non è la contrapposizione tra martiri che serve a capire e tanto meno risolvere questioni molto complesse, né una polemica che investe questioni più politiche che religiose.

Riconosciamo il valore esemplare di don Pietro, cogliamo questa occasione per approfondirne la storia e la dirompente umanità, illuminata dalla fede. Facciamo sì che dalla narrazione di un’esistenza spesa per i diritti e i valori profondamente umani, che poi sono anche profondamente religiosi, tutti traggano spunti di riflessione ed elementi per leggere criticamente il tempo presente e denunciare civilmente le situazioni in cui questi sono oggi negati. Ma senza necessariamente dividersi e, proprio nel rispetto di tutti i martiri, senza prolungare oltre questa polemica.

*direttore di Luce e Vita