Il restauro della statua del Cristo Morto del Binetti

Francesco de Nicolo

Da alcune settimane è in corso il restauro della sacra immagine del Cristo morto che si venera nella chiesa terlizzese di S. Francesco Saverio (meglio conosciuta come S. Maria di Costantinopoli), statua dall’alto impatto emotivo e pregio artistico che prende parte al corteo processionale dei Misteri la sera del Venerdì Santo.
Il paziente intervento di restauro, condotto dalla ditta ACHG di Annamaria e Giuseppe Chiapparino, ha già permesso di far riaffiorare, sotto gli strati di ridipintura, la firma in caratteri corsivi «Corrado Binetti Molfetta 1913». Tale firma autografa, apposta dall’artista sul sudario, era stata obliterata dalle ridipinture.
Il restauro ci offre l’occasione per riscoprire la figura dello scultore molfettese Corrado Binetti, personalità ancora sconosciuta alla storia dell’arte.
La formazione di questo artista deve, probabilmente, essere collocata all’interno di una fiorente scuola di scultura formatasi a Molfetta nella seconda metà del XIX secolo. Capostipite di questa scuola fu il napoletano Ferdinando Cifariello che, nel 1863, impiantò nella cittadina adriatica una bottega attiva nella produzione di presepi in legno, cartapesta e terracotta. In questo atelier, divenuto ben presto validissima alternativa locale alla produzione napoletana e alla cartapesta leccese, dovette formarsi Vito Fornari (1846-1893), omonimo del più famoso procugino teologo, e Corrado Binetti. 
Nonostante le numerose omonimie, riteniamo che il nostro scultore debba essere identificato con il Corrado fu Francesco nato nel 1856 e morto nel 1929, di professione fabbro.
Ciò significa che il Binetti, come del resto faceva il già citato Vito Fornari che era calzolaio, svolgesse la professione di scultore solo occasionalmente. C’è da dire, tuttavia, che il Binetti eseguiva anche lavori di restauro e da lui furono restaurate le statue di S. Anna con Maria bambina della chiesa di S. Domenico a Molfetta (1904) e l’omologa statua lignea della chiesa di S. Gioacchino a Terlizzi (1907). 
Il catalogo delle opere del Binetti annovera, al momento, la Desolata (1907) e l’Ecce Homo nella chiesa di S. Domenico in Ruvo di Puglia; il Sacro Cuore (1913) in S. Gennaro, Santa Rita (1915) in S. Domenico, la Madonna del Rosario di Pompei (1913) e Santa Lucia nel Duomo, tutti in Molfetta; una statuetta dell’Addolorata sotto campana in collezione Cestari. A queste va aggiunto il venerato simulacro del Cristo morto di Terlizzi che lo scultore molfettese realizzò ispirandosi, nella composizione e nella posa, al Cristo Morto cinquecentesco dell’Arciconfraternita di S. Stefano in Molfetta. Lo struggente realismo dei delicati tratti del volto della statua terlizzese, invece, si spiega con la forte educazione al naturalismo napoletano che il Binetti dovette acquisire alla scuola di Ferdinando Cifariello. L’esecuzione densa di pathos, dunque, non può essere letta unicamente come un semplice aggiornamento del Binetti alla lezione veristica del più giovane scultore Giulio Cozzoli il quale, pochi anni prima, aveva scolpito il Cristo morto della Pietà per l’Arciconfraternita della Morte di Molfetta.
L’elegante fregio ligneo in stile liberty che decora la base del Cristo morto di Terlizzi è una testimonianza dell’attività di fabbro del Binetti che, sicuramente, ebbe modo di replicare più volte nel ferro battuto simili decorazioni per cancellate, ringhiere ecc. 
La nostra statua fu commissionata nel 1913 dalla Confraternita di S. Maria di Costantinopoli che, approfittando di un momento di generale rimescolamento dei ruoli delle congreghe nella processione del Venerdì Santo, si disfece del seicentesco Cristo alla colonna di sua proprietà per passare a condurre il Cristo morto, appunto. Che fine abbia fatto il Cristo flagellato non ci è dato sapere; forse è andato distrutto o più probabilmente venduto sul mercato antiquario.
Nuove ricerche, inoltre, permettono di retrodatare alla fine del XVI secolo la fondazione della Confraternita di S. Maria di Costantinopoli che autorevoli studiosi locali, come il Valente, ritenevano di far risalire ai primi del Settecento. Solo il D’Ambrosio, che in un primo momento aveva proposto la datazione settecentesca, poté successivamente retrodatare il sodalizio almeno alla prima metà del Seicento grazie al ritrovamento di un documento presso l’Archivio di Stato di Trani datato 1623. Oggi è possibile affermare che la Confraternita era già operativa nella chiesa di S. Giovanni Battista, presso la Porta «de Ruvo seu del lago», nel 1607, al tempo della visita pastorale di Mons. Gregorio Santacroce, Vescovo ausiliario di Giovinazzo1. Riteniamo che il sodalizio sia stato fondato nella stessa circostanza dell’omologa Congrega di Giovinazzo, istituita nel 1598 dal Vescovo Giovanni Antonio Viperano nella chiesa di San Rocco.
Non bisogna dimenticare, del resto, che proprio nel XVI sec. la devozione verso la Vergine Odegitria riscuoteva una ripresa di consenso essendole stato attribuito lo scampato pericolo della peste a Bitritto. 
I congregati dell’antica Confraternita di S. Maria di Costantinopoli, oggi non più esistente, indossavano un abito composto da «un sacco bianco co’ cappuccio bianco e mozzetto di color azzurro».
1 Cfr. ADG, Fondo Curia Vescovile, Atti della Visita Pastorale di Mons. G. Santacroce a Terlizzi, 1607, c. 6v.