Molfetta, Galilea

Editoriale n.17 del 29 aprile 2018

Tutto è iniziato con uno striscione: “Grazie, don Tonino”. Mi trovavo a passare nei pressi del palazzo vescovile mentre veniva appeso. La trovai subito come la frase più vera per me; anziché ripetere, con poca credibilità, altre sue parole, sicuramente più audaci, ma anche più esigenti. Rientrato a casa, riferii dello striscione a mia moglie e mi parve che i suoi occhi divenissero per un attimo lucidi. Poi, tanto per restare in famiglia, dovrei ripetere quello che dice mia madre: “Che anni belli sono stati!”. E come possono non essere stati anni belli? Gli anni della (mia) giovinezza, anni di primavera. Ma non è solo un fatto di età, con don Tonino è stata davvero primavera. C’era una felice coincidenza tra una giovinezza anagrafica e quegli anni di semina generosa di Vangelo. Ed era il seminatore, don Tonino, a fare la differenza: amabilità, disponibilità verso tutte le persone, spontaneità (con tratti anche geniali).
Ma poi, dicendo questo, mi sembrava tutto banale: ridurre uno straordinario profeta e testimone al profilo pastorale, pur di straordinaria umanità e capacità di attrazione.
E siamo, infine, a giovedì mattina, alla vigilia della visita del Papa nel venticinquennale della morte di don Tonino. Non ebbi bisogno della sveglia, continuavo a rigirarmi nel letto. Di colpo, mi sovvenne un ricordo di quando facevo buone letture. Si parla di “primavera in Galilea” per descrivere i primi momenti della predicazione del Signore, i miracoli intorno al mare di Tiberiade, la chiamata dei primi discepoli. La Galilea, Galilea delle genti, ci ricorda Matteo 4, citando Isaia 8. Galilea, periferia, paese di frontiera, compresenza di diverse culture, necessità di confronto e necessità di incontro. Parlava, don Tonino, parlava da vescovo, ma cercando ed ottenendo un ascolto ben più ampio della navata del tempio, proprio come in una moderna Galilea. La Galilea torna alla fine della vicenda storica di Gesù: risorto, precede i suoi in Galilea.
Don Tonino precede la Chiesa, di cui è stato figlio e pastore; la precede sulle frontiere dell’incontro con gli uomini di oggi, quelli che condividono le speranze cristiane e quelli che parlano altre lingue; o alla finestra spalancata verso i Sud del mondo, come ci ha ricordato il Papa ad Alessano. La precede nel servizio incondizionato.
Don Tonino precede anche me in Galilea, mentre io forse sono attardato nei soliti recinti. Quale Galilea dovrò raggiungere? Sinceramente non l’ho ancora capito. Mi ripeto la frase da “laico cristiano, nelle condizioni ordinarie del vivere”, con un lavoro ordinario; cogliendo la bellezza di questa prospettiva, ma anche l’ambiguità, il pericolo di depotenziare tutto, annacquare tutto. C’è di buono che questo interrogativo, grazie a pastori come don Tonino, lo vivo con serenità, riconoscendo che non mi sono ammalato di insoddisfazione; posso essere grato se qualche lezione di quegli anni sono riuscita ad apprenderla e farla diventare vita più umana.
Rimane il fatto che il Vangelo ascoltato il 20 aprile si chiudeva proprio con un riferimento geografico: “a Cafarnao”, in Galilea. Rimane l’impegno, da esercitare ogni giorno, per diventare più audace, più generoso.

di Lorenzo Pisani