«Il Papa ci fa riscoprire don Bello»

Articolo di Mons. Angiuli su La Gazzetta del Mezzogiorno

Non c’è da meravigliarsi se i profeti non sono sempre compresi e accettati da tutti. Su don Tonino Bello, profeta amato da alcuni e frainteso da altri, credo sia giunto il momento di fare qualche precisazione. Qualcuno ha detto che i suoi scritti non hanno bisogno di interpreti, ma di lettori. Affermazione verissima, a patto che essi leggano integralmente quanto è scritto e mantengano intatto il fascino dei binomi essenziali senza sminuire il loro andamento dialettico. Mi riferisco soprattutto ai “temi scottanti” della vita, della pace, della misericordia, dei poveri e della Chiesa. Circa la questione della vita, è sufficiente far riferimento alla famosa preghiera “Dammi, Signore, un’ala di riserva”, composta sull’acrostico della parola vita.

Con le prime tre lettere don Tonino compone un inno “all’ala di riserva”, nella quarta accenna, con parole inequivocabili, ai peccati contro la vita: l’aborto, il rifiuto della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari. Di solito, si recitano e si cantano solo le prime tre parti, mentre la quarta passa nel dimenticatoio. In verità, don Tonino chiedeva di planare dal piano poetico a quello, terra terra, della denuncia di tutte le forme di attentato alla vita. A differenza di qualche lettore e qualche interprete, egli coniugava insieme l’etica personale e l’etica sociale. Il testo, invece, viene tagliato a proprio piacimento per dire non il pensiero dell’autore, ma ciò che piace al lettore. Operazione scorretta per mancanza di fedeltà all’intenzione e alla lettera di quanto don Tonino ha realmente scritto. Il tema della pace è modulato sul versetto 11 del salmo 85: «Giustizia e pace si baceranno»; e sulle parole del profeta Isaia 32,17: «La pace è frutto della giustizia».

In sintonia con la Parola di Dio, don Tonino coniuga insieme giustizia e pace senza scivolare in un pacifismo a buon mercato. La pace, per lui, è Cristo venuto a instaurare il «regno di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio). Le citazioni per avvalorare questa tesi sono molte. Invito, pertanto, a leggere l’intero quarto volume intitolato «Scritti di pace». Lo stesso versetto del medesimo salmo recita: «Misericordia e verità s’incontreranno». Per don Tonino, la misericordia non è sinonimo di buonismo senza verità, e la verità non è una proposta fredda e senza amore. Per questo, ai politici, egli ribadiva che «la più grande opera di misericordia che voi potete compiere è quella di rimanere fedeli a Dio e fedeli all’uomo. Chi non fa sintesi partendo da questi due punti di fuga, non potrà essere “uomo di misericordia” (vol. VI, p. 59). Ai sacerdoti e ai fedeli richiamava la necessità di un “oriz – zontalismo verticale” (vol. VI, p. 66). Più in generale, contro la cultura nichilista abbarbicata sul pensiero negativo secondo il quale non vi è nessun principio, nessun centro, nessun fine, nessuna verità, don Tonino invitava a parlare con audacia «che non significa spericolatezza, temerarietà, ma parresia cioè libertà, franchezza di parola, capacità propositiva di dire le cose, proprio nel nome del Vangelo» (vol. IV, p.65).

Il quarto binomio si riferisce al rapporto tra l’Eucaristia e i poveri. In questo caso, il Servo di Dio utilizzava due immagini strettamente collegate tra di loro: “il Signore del tabernacolo” (l’Eucaristia) e “il tabernacolo del Signore” (i poveri). In sintonia con l’insegnamento della Scrittura, dei Padri e del Magistero, egli ricordava che il cristiano non può celebrare l’Eucaristia dimenticando i poveri e non può soccorrere i poveri prescindendo dall’Eucaristia. In altri termini, il riferimento ai poveri non può essere solo espressione di un puro sentimento filantropico, e la celebrazione eucaristica è infruttuosa se non sfocia nell’amore verso i poveri. La liturgia e la carità sono due facce della stessa medaglia. «Se prima (si noti il primato dell’azione liturgica!) non si è stati a “tavola” (la tavola eucaristica!), anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo» (vol. V, p. 104). Il tabernacolo è duplice: l’Eucaristia e i poveri. Il Signore è lo stesso. Lo si adora nell’Eucaristia, lo si venera nei poveri. Sulla famosa locuzione “Chiesa del grembiule”don Tonino ammoniva a indossare “la stola e il grembiule” in quanto essi sono «quasi il diritto e il rovescio dell’unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe sterile» (vol. V, p. 103). Il servizio, pertanto, non va inteso come una “prestazione d’opera”, ma come una relazione d’amore verso Dio e verso il prossimo. Servizio «significa abbandono a Dio: una Chiesa è credibile solo se è credente» (vol. VI, p. 412).

Dopo questa sintetica precisazione, spero che, d’ora in poi, i lettori proveranno gioia nello scorrere integralmente gli scritti del Servo di Dio e gli interpreti, di tutti i tipi e di tutti gli orientamenti (“di destra”, “di sinistra” e anche “di centro”), comprenderanno che don Tonino ha usato il criterio supremo della dottrina cristiana ossia il principio calcedonese “dell’et-et” e non quello “dell’aut-aut”. Dopo aver ottemperato alla regola elementare della lettura integrale dei testi, come d’in – canto scompariranno tutte le interpretazioni non conformi alla verità. Questo cambiamento di prospettiva sarà uno dei frutti più belli e duraturi della visita di Papa Francesco ad Alessano e a Molfetta.

*Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca