I riti e le opere della Settimana santa parlano il “dialetto della fede”

A Taranto 9.879 persone per osservare I volti della Passione e le opere molfettesi

 

Al di là dei numeri, che pure impressionano e lusingano tanto i promotori quanto le realtà partecipanti, Facies Passionis – I volti della Passione potrebbe diventare un caso di studio ed in parte lo è già stato. L’interesse per la pietà popolare e le arti minori, così come la volontà dei principali sodalizi della Puglia di approfondire le potenzialità delle loro rituali azioni, in un’ottica di valorizzazione della fede e di nuova evangelizzazione, sono state infatti al centro della conferenza collaterale all’esposizione che ha avuto luogo venerdì mattina e dell’incontro conclusivo di domenica 4 febbraio, al Castello aragonese di Taranto, dove sono intervenuti Onofrio Sgherza e don Ignazio Pansini per l’Arciconfraternita della Morte ed Onofrio Grieco per il Museo diocesano di Molfetta. Insomma non un’esposizione fine a sé stessa, né una mera ricerca di visibilità.

D’altronde le premesse erano chiare sin dall’inaugurazione, avvenuta alla presenza delle municipalità di riferimento dei simulacri e delle realtà coinvolte (l’Ass. Mancini per il Comune di Molfetta), nelle parole dell’assistente spirituale dell’Arciconfraternita del Carmine di Taranto, mons. Marco Gerardo. I riti della Settimana Santa e le opere oggetto di devozione parlano il “dialetto della fede” e sono vicini a molta più gente di quanta oggi giorno si avvicina alla Chiesa o la frequenta assiduamente. Non devono dunque essere relegati nell’alveo del folclore ma rivelarsi quali opportunità di dialogo con la storia e la fede del nostro territorio.

Quattro giorni per riaffermare il valore delle tradizioni, dunque, con lo sguardo fisso su quello che deve restare il tema centrale dei riti quaresimali: i volti della passione testimoniano la fede dei nostri padri e dicono quella che vogliamo tramandare ai nostri figli. Con questa convinzione sono rientrate a Molfetta le opere scultoree raffiguranti la Pietà ed il Cristo nell’orto del Getsemani, non prima di un’ultima visita speciale. A porte chiuse, lunedì mattina, l’Arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro ha chiesto di rivedere i dieci simulacri. Un’attenzione significativa, per ribadire l’opportunità unica offerta dalla bellezza di queste opere per meditare sulla passione e morte di Cristo, nonché per ringraziare personalmente i “portatori” delle statue che si apprestavano al disallestimento.

Dall’uno al quattro febbraio, particolarmente significativo è stato l’interesse – testimoniato anche dai social e dai servizi giornalistici – per la Pietà, “intronizzata” sull’altare della Chiesa del Carmine, accanto alla raffigurazione dell’Addolorata di Noci ed al Cristo morto di Bitonto dalla suggestiva culla. L’opera, che ha consacrato agli inizi del novecento l’abilità artistica di Cozzoli, ha focalizzato l’attenzione dei visitatori sui riti molfettesi, rinnovando i sentimenti di devozione che guidarono le mani dell’artista nel plasmarne la figura  del Cristo. Così come grande è stata l’attenzione, anche a distanza, per l’opera prestata dal Museo diocesano, accostata nell’immaginario dei tarantini ai “tre fratelli” del cartapestaio leccese Giuseppe Manzo, tre sculture – i cui volti del Cristo sono molto somiglianti – custodite proprio nella chiesa del Carmine. L’opera, oggetto per l’occasione di un restauro conservativo, a cura della ditta Lorenzoni di Polignano, realizzato grazie ai fondi Cei dell’8xmille, ha riacquistato il ruolo di immagine sacra, perso in parte con la musealizzazione avvenuta negli anni sessanta.

Tra le migliaia di visitatori che da tutta la Puglia si sono riversati per le vie di Taranto, alcune centinaia i Molfettesi che vi hanno partecipato, con i pullman organizzati dal pio sodalizio o con mezzi propri. Presto saranno disponibili gli atti della conferenza mentre rimane, disponibile presso il Museo, l’oratorio confraternale e l’Info Point Turistico, la pubblicazione di “Facies Passionis” con foto e schede di approfondimento sulle opere esposte.

Nota a cura dell’Arciconfraternita della Morte e del Museo diocesano di Molfetta