Una settimana Grande e Santa

di Pietro Rubini

Con la Domenica delle Palme si apre la grande settimana dei cristiani, la settimana santa. Grande perché ‘ afferma S. Giovanni Crisostomo ‘ «in essa sono state compiute dal Signore cose grandi»; Santa, perché i suoi giorni, distinti dagli altri, meglio manifestano la santità di Dio che illumina i nostri cuori. In questo tempo santo, però, il credente non è chiamato solo a contemplare, ma a rivivere, a sentirsi partecipe, ad assumere un ruolo di responsabilità all’interno degli eventi che vengono evocati. Cuore di tutta la settimana è il Triduo pasquale: tre giorni nei quali il mistero di Cristo crocifisso, sepolto e risorto, si dispiega in un’unica celebrazione che ha il suo prologo la sera del Giovedì santo e il suo vertice nella Veglia pasquale.

Nella Messa vespertina in Coena Domini facciamo memoria di Gesù che istituisce i Sacramenti dell’Eucaristia e dell’Ordine ministeriale, rispettivamente Sacramento del dono e del servizio. Due sacramenti che rimandano alla stessa presenza: quella del Cristo che continua a vivere per noi e in noi. Una presenza racchiusa in un frammento di pane, l’Eucaristia, e in un frammento di umanità, il prete. Due frammenti opachi che nascondono una presenza luminosa: il pane, nella sua semplicità e persino banalità, il prete nella sua umanità fragile e debole. «D’ora in poi ‘ sembra dire Gesù ‘ chi vorrà incontrarmi deve attraversare con gli occhi della fede l’opacità di queste due realtà e scorgervi la mia presenza di Maestro e Signore». Quale mistero assurdo e meraviglioso, fascinoso e tremendo, grande e terribile. Come non trasalire di gioia e di tremore, di gratitudine e di timore dinanzi a questi ineffabili doni che in questo santo giorno Gesù consegna a noi suoi discepoli?

Scriveva San Leone Magno: «La santa Passione del Signore, narrata dal Vangelo, penso sia tanto impressa nei vostri cuori, così che la meditazione diviene come una visione. La vera fede ha questa capacità: di far partecipare spiritualmente a quei fatti, ai quali uno non è potuto essere fisicamente presente». È quanto avviene nell’azione liturgica del Venerdì santo. Ma cosa significa partecipare spiritualmente a quei fatti? Vuol dire lasciarci coinvolgere ed interrogare dalle domande che sgorgano dal racconto della Passione secondo Giovanni.

– Chi cercate? È la domanda di Gesù ai Giudei, ai soldati e a Giuda. Ma anche a ciascuno di noi. Di fronte a un condannato a morte, innocente e ingiustamente giustiziato, al massimo si può provare una sorta di simpatia. Questo è sufficiente per giocare su di Lui tutta la nostra vita?

– Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? La domanda è rivolta a Pietro, che nega per paura. Ha seguito Gesù per tre anni, ha fatto grandi professioni di fede, poi invece si ferma fuori, vicino alla porta e nega: «Non sono suo discepolo». Cosa risponderemmo noi a questa domanda?

– Che cosa è la verità? È l’impegnativa domanda di Pilato a Gesù. Qui la “Verità” indica qualcosa di decisivo, che coinvolge tutta la vita. Non per nulla sarà definitivamente scritta con i caratteri indelebili dell’amore sul libro della Croce. Dalla Croce, infatti, abbiamo conosciuto la passione di Dio per l’uomo e abbiamo capito una volta per tutte che «Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla con la sua presenza» (P. Claudel).

Preparati dal grande silenzio del Sabato santo, giorno in cui la morte sembra già essere feconda di vita, giungiamo finalmente alla Veglia Pasquale, madre di tutte le Veglie, come amava chiamarla Sant’Agostino. Il fuoco, la luce, l’acqua, il pane, la notte, l’alba: sono le schegge di creazione che invadono la liturgia notturna come segni di risurrezione e di vita nuova. Così la Chiesa, colma di gioia per quanto il Signore ha fatto, nell’Exultet canta: «O felice colpa che ci ha meritato un tale Redentore!», come per dire che il Cristo morto e risorto ha fatto di tutte le colpe umane, delle “felici colpe”, delle colpe che non si ricordano più se non per l’esperienza di misericordia e di tenerezza divina di cui sono state occasione. Da questa certezza, a mo’ di saluto trionfale a Cristo che annuncia nel Vangelo la sua vittoria sulla morte, esplode, dopo i 40 giorni della Quaresima, il canto dell’Alleluia. Esso è ripetuto per tre volte, ogni volta in una tonalità più alta, perché penetri sempre più a fondo nel cuore e scacci ogni afflizione.

La Risurrezione, allora, è il canto della speranza che s’innalza dal grembo della Chiesa. Con una meravigliosa immagine Sant’Ippolito di Roma afferma che «Cristo ha aperto un autentico gioco di danza nel quale il Risorto è il primo danzatore della mistica danza e la Chiesa è la sposa che lo segue nel ballo». Quanto bisogno ha il mondo di questa danza, di ritmi di esultanza e di esuberanza! Contempliamo il Risorto e ritorniamo per le strade del mondo «con timore e gioia grande», come le donne del Vangelo.

Con timore perché il Risorto, che deve essere continuamente riconosciuto nelle pieghe della storia e nei segni dei tempi, può sfuggirci. Con gioia perché Egli ci cammina innanzi, ci apre la strada, segna il cammino in avanscoperta.