Luce e Vita - Spiritualità

Voi chi dite che io sia? Commento al vangelo di Domenica 23 agosto

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

Ambito dell’Italia meridionale sec. XIX, Dipinto con Gesù e San Pietro

Mt  16,13-20

In quel tempo, 13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Ormai Gesù ha compiuto prodigi di ogni genere: ha guarito storpi, scacciato i demoni, ridato la vista ai ciechi, resuscitato persone. Ne farà altri, ma la sua fama si è diffusa in tutta la regione, è giunta fino in Giudea. Le sue gesta passano di strada in strada, di bocca in bocca, creano stupore tra la gente: “Chi sarà mai costui che compie tali miracoli?”

Non sono banali pettegolezzi, quell’uomo comparso all’improvviso apre interrogativi sulla sua identità più che sulla sua provenienza; anzi, la sua umile origine accentua l’interrogativo. Sono domande legittime perché cose così grandi non si erano mai viste.

Ed ecco che un giorno fuori della terra santa, a Cesarèa, residenza del tetrarca Filippo, mentre si trova in disparte con i suoi discepoli, fuori dai rumori del mondo e dalla soggezione che può incutere la sua vista, è arrivato il momento propizio per chiedere ai suoi informazioni su ciò che la gente pensa e dice di lui.

I discepoli gli danno tutte le opinioni che avevano raccolto in giro: per alcuni egli è Giovanni il Battista, fatto uccidere da Erode Antipa, ma ritornato sotto mentite spoglie; per altri è “Elia”, il profeta che deve venire “prima che giunga il giorno grande e temibile del Signore” (Ml 3,22); per altri ancora è Geremia redivivo o uno comunque dei profeti inviati da Dio al suo popolo.

Insomma, la confusione regna sovrana, ma quantomeno le considerazioni sul suo conto sono sicuramente lusinghiere. Nessuno, a quanto apprendono i suoi, parla male di Gesù, non si ode nessuna voce che insinui un imbroglio; magari qualcuno potrebbe osare un sognatore, un idealista, ma senza mettere in dubbio le sue buone intenzioni. Eppure, nonostante questi accostamenti roboanti, nessuno coglie la novità della sua predicazione.

Gesù non sembra prendere negativamente quelle risposte, sospende il giudizio e quasi maieuticamente rilancia la stessa domanda ai suoi come per fare il punto della situazione: “Chi dite che io sia?”

Pietro, come mosso da un forte impulso interiore, fa un’inaudita confessione: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Cristo è la traduzione greca della parola ebraica Messia che equivale a Unto, l’eletto da Dio). Qualificarlo come Messia presupponeva riconoscerlo come colui che avrebbe condotto il popolo alla salvezza definitiva. Tale dichiarazione è un primo passo importante verso la rivelazione del mistero della persona di Gesù e che si chiuderà sulle labbra del centurione romano, il quale sotto la croce dirà: “Veramente costui era Figlio di Dio” (Mc 15,39).

Pietro sa benissimo che Gesù non è banalmente uno bravo, onesto, devoto, intelligente; non è semplicemente un ottimo conoscitore della Legge o un taumaturgo. E sa perfino che la stessa definizione di profeta gli va stretta. Per primo arriva a una rivelazione superiore: ecco perché diventerà la pietra che sosterrà tutto l’edificio.

Gesù è colui che tutti in fondo aspettano, ma forse Pietro pronuncia anche quelle parole potentissime senza averne piena consapevolezza: per lui, come per altri, non è da escludere che il Messia avrebbe portato al trionfo sugli oppressori di Israele, i prepotenti Romani, e quindi vedendolo in una chiave politica e nazionalistica. Gesù, infatti, subito evidenzia che questa intuizione non viene da lui, ma attraverso lui dallo Spirito Santo: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”. Indirettamente giustifica le dicerie, visto che la grandezza della risposta non è alla portata dell’arguzia umana. È un dono!

Sarà, questa, la domanda dinanzi alla quale nella storia, filosofi, teologi, potenti e uomini semplici, dovranno confrontarsi: chi è per noi quest’uomo comparso all’improvviso nella storia, generando un interminabile dibattito dottrinale?

È una domanda che coinvolge anche noi uomini contemporanei, dopo averne sentito parlare dai nostri educatori, in parrocchia o dai genitori, e così via: “Chi è per noi Gesù?”

È una domanda che interpella, direi che scuote, anche noi in un mondo dove l’atteggiamento di molti cristiani sembra essersi adagiato sulla scia della secolarizzazione. La domanda ci accompagna e le nostre labbra, sovente, rimangono con un vagito di risposta perché sentiamo troppo il fardello pesante, la responsabilità, che graverebbe sulle nostre spalle; implicherebbe tutto il nostro destino umano e spirituale: conoscerlo vorrebbe dire seguirlo e vivere per lui e in lui. È perciò una domanda che ci sfida.

Il nostro avvicinamento a Cristo è quello verso Qualcuno che risponde alla domanda seppellita dentro di noi, che brucia come interior intimo meo direbbe Agostino d’Ippona, quella domanda che ci fa tremare e allo stesso tempo svela il nostro vero desiderio di verità. Ogni volta che noi entriamo dentro il mistero di Cristo in qualche maniera troviamo la risposta a ciò che siamo noi: conoscendo Cristo ci accostiamo all’umanità perfetta che egli è. Più progrediamo in lui, più capiamo chi siamo noi. Ecco perché il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer nella sua Cristologia annotava: “Cristo non è tale in quanto Cristo-per sé, ma nel suo riferimento a me. Il suo esser-Cristo è il suo esser-per me”.

Talvolta, questo accostarsi a Cristo, è un accogliere le sue carezze più per la paura dei pericoli quotidiani disseminati nella nostra vita che il frutto di un amore sincero; nei suoi confronti non c’è un accostarsi per un abbandono incondizionato ma il cercare l’ultima spiaggia quando si è sull’orlo della disperazione.

A noi la risposta.

di Giovanni Capurso