Con la vocazione alla santità

da uno scritto di Domenico Amato

«Cristiano diventa ciò che sei» amava dire Sant’Agostino ai suoi fedeli di Ippona. Ciò significa che c’è in ognuno di noi un qualcosa di fondamentale che ci è stato donato gratuitamente: la santità appunto. Essa ci viene consegnata nel battesimo.
Costituiti santi perché conformi all’immagine del Figlio, di Lui ci rivestiamo, è la vita nuova simboleggiata da quella veste bianca che abbiamo indossato il giorno del battesimo e che ci ha fatto risplendere nella luce.
Da quel momento «come eletti di Dio santi e amati» siamo stati costituiti tali dalla forza dell’amore. Perciò Paolo può appellare i cristiani col titolo di santi. Basta rileggere a tal proposito gli inizi delle sue lettere, dove si rivolge ai cristiani delle varie comunità, ai quali indirizza i suoi scritti, chiamandoli appunto santi.
In genere si sottolinea molto il concetto di chiamata alla santità, Paolo invece aprendo la lettera ai Romani chiama i cristiani di quella comunità «santi per vocazione», sottolineando così il dono di grazia e l’iniziativa di Dio riguardo alla santità dei suoi figli. È a partire da questo che è poi possibile sviluppare la riflessione intorno alla «chiamata alla santità».
Perché se la santità è il dono messianico per eccellenza, è anche vero che essa è il compito precipuo di ogni cristiano. Infatti se l’essere santi dipende da Dio, il diventarlo dipende da ciascuno di noi.[…]
Tutti, in egual misura, sono chiamati alla santità. È quanto esprime il Concilio Vaticano II con queste parole: «tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato o ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità».
Santità significa, secondo il Concilio, pienezza di vita cristiana e perfezione della carità.
È bene soffermarsi un po’ su questi due concetti.
La vita cristiana non è solo la sequenza di alcuni atti esteriori che il fedele laico pone uno accanto all’altro. Non è cioè solo il susseguirsi di precetti e osservanze a cui il cristiano deve attenersi come ad una legge cui conformarsi pedissequamente. La vita cristiana è piuttosto l’essere conformi a Cristo. Passa di qui lo scarto tra una vita cristiana autentica e una vita cristiana contraffatta, o farisaica per usare un linguaggio più vicino alla Bibbia. Per questo, nel discorso della montagna Gesù rivolgendosi alla folla, in quello che è la sintesi di ogni discorso sull’agire cristiano, dice: «se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5, 20). Da questo emerge in modo lampante che non è concepibile una vita cristiana di basso profilo; una vita in cui si cerca semplicemente di fare qualcosa in più degli altri per stare a posto con la coscienza, o peggio ancora una vita in cui si cerca solo di apparire buoni semplicemente per rispondere ad un ruolo. Perché termine di paragone non è l’agire degli uomini bensì la perfezione di Dio. Gesù nel proporsi agli uomini come modello di ogni perfezione ci ha invitti ad essere «perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste» (Mt 5, 48). 
In questa ricerca di perfezione bisogna considerare che non siamo soli. […]
Lo Spirito ci spinge ad amare Dio, perché è nello Spirito che facciamo l’esaltante e intima esperienza di essere amati da Dio. Qui si inserisce il secondo concetto: chiamati alla perfezione della carità. Questa trova la propria radice in quella reciprocità di amori che si esplicitano in quello di Dio nei confronti dell’uomo e quello dell’uomo nei confronti di Dio. Solo quando c’è questa circolarità la carità si apre alla perfezione, giacché alla libertà di Cristo che ci ha amati per primo e ha dato se stesso per noi, risponde la libertà dell’uomo che riama Dio e lo fa con tutto se stesso, fino a donarsi al prossimo. Qui sta la perfezione dell’amore. Qui si schiude la più sicura via alla santità.
Se autore e propulsore di tutta questa dinamica è lo Spirito Santo, al cristiano non resta che assecondare la spinta dello stesso Spirito dentro di sé. Si capisce allora perché non possiamo parlare di spiritualità se non a partire da una vita secondo lo Spirito. É Lui che ci conduce, a noi tocca farGli spazio, aprire le vie, capirne i suggerimenti, discernere i messaggi. Solo così la nostra vita cristiana raggiungerà la pienezza. Infatti il Concilio ci ricorda come i cristiani sono chiamati alla pienezza della vita cristiana.
In modo ancor più evidente si capisce che la santità non si pone solo agli estremi della vita cristiana: come dono il giorno del battesimo e come compimento nella esperienza pasquale della morte. La santità invece è una ricerca che ci accompagna durante tutta l’esistenza come quotidiano anelito al sentirsi pienamente realizzati come uomini e donne del proprio tempo. 
Il Concilio, poi, ci offre un’altra luce, questa volta legata proprio all’essere del cristiano nel mondo.
La santità infatti «promuove un tenore di vita più umano anche nella stessa società terrena».
Questa affermazione spazza il campo da ogni forma di intimismo, spiritualismo e personalismo. La santità non è affare privato, ma pubblico. Si è santi e ci si sforza di diventarlo sempre di più non solo per se stessi, ma anche per gli altri. La santità tocca la concreta vita degli uomini che incontriamo e di cui siamo contemporanei e conterranei. Farsi santi perciò ha una forte ricaduta sulla società, perché attraverso la santità si fa in modo che la vita degli uomini diventi più umana.
L’esercizio della santità ci spinge a riconoscere la bontà del creato e a ricercare l’impronta di Dio sul volto delle persone. Ciò significa essere vigilanti sui propri comportamenti e avere la capacità di saper scrutare i segni dei tempi, e in questi segni individuare l’azione dello Spirito Santo. 
L’impegno per la salvezza del mondo che è proprio dei cristiani laici non passa allora attraverso le battaglie, i sit-in, le proteste, le petizioni, le marce, gli appelli. Passa invece attraverso la santità. E tutte le cose appena elencate avranno senso solo se informate e rese vitali da questa. […]
Una santità per la storia e nella storia quella dei fedeli laici affinché il mondo si salvi per mezzo di Cristo. 
A partire da queste considerazioni capiamo ancora meglio l’invito di Giovanni Paolo II, rivolto proprio ai laici nella esortazione apostolica Christifideles Laici, quando dice che a nessuno è lecito rimanere in ozio, giacché ai laici è affidata la responsabilità del mondo.
Una santità, quindi, che non si aliena, ma che si apre al mondo e alla storia e fa di questo il luogo teologico dove incontrare Dio e mettere a frutto tutti i doni e i carismi ricevuti. In questo modo, trafficando bene i propri talenti, i laici orienteranno a Dio tutte le realtà create, mettendo in pratica una spiritualità che sia vera esplicitazione di quella indole secolare che è loro propria.

cf: D. Amato, Testimoni di speranza. Vivere da lici la vita secondo lo Spirito, Ed Insieme, Terlizzi, 2003, p.57-61.