Il messaggio che Papa Francesco invia a tutta la Chiesa, per la prossima 52ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (domenica 26 aprile), ha come “focus” di riferimento l’immagine di una “Chiesa in esodo”, che ha il coraggio di stare tra la gente, di portare a tutti la Buona Notizia che Gesù le ha consegnato, di non crogiolarsi in una pericolosa e autoreferenziale contemplazione di se stessa.
Francesco disegna l’identikit di una Chiesa dal volto missionario, che si scrolla di dosso le proprie sicurezze e i propri ruoli, per incontrare l’uomo d’oggi.
“Quando sentiamo la parola ‘esodo” – scrive il Papa -, il nostro pensiero va subito agli inizi della meravigliosa storia d’amore tra Dio e il popolo dei suoi figli, una storia che passa attraverso i giorni drammatici della schiavitù in Egitto, la chiamata di Mosè, la liberazione e il cammino verso la terra promessa”. Uscire… Ognuno di noi ha il proprio mondo di riferimento; esso permette degli ancoraggi chiari e sicuri, ma può rappresentare anche un profondo limite, se tutto è rinchiuso e bloccato nello “status quo” di sempre.
Papa Francesco dice che l’humus fecondo di ogni vocazione è la capacità di vivere, con radicalità e convinzione, il dinamismo dell’esodo, che è spinta alla missione: “Se la Chiesa ‘è per sua natura missionaria’ (Concilio Vaticano II, Ad gentes, 2), la vocazione cristiana non può che nascere all’interno di un’esperienza di missione”.
Ciò pone una domanda radicale a ciascuno di noi e alle nostre comunità cristiane: come mai fatichiamo così tanto a uscire dalle nostre impostazioni prestabilite e di routine, per vivere con più parresìa e coraggio l’apertura a Dio e la solidarietà con i più poveri?
Ci frena la ripetitività dei nostri moduli, rifugiandoci nella formula del “si è sempre fatto così!”.
“La Chiesa in uscita – spiega il Santo Padre nella Evangelii Gaudium (n. 24) – è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano (…) Per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, sa andare incontro, cercare i lontani ed arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi”.
La dinamica di una scelta vocazionale, sia personale che presente in una comunità cristiana, è quella di vivere sino in fondo la decisione di “mettersi in cammino”, perché… c’è una meta da raggiungere. Questo fa sempre la differenza tra il cuore pellegrino e la vita del nomade.
Il pellegrino ha sempre una meta da raggiungere, anche se non sempre conosce la via per raggiungerla; il nomade non ha un percorso chiaro, perché non ha una meta a cui pervenire.“L’esperienza dell’esodo – scrive il Papa nel messaggio per la Giornata – è paradigma della vita cristiana, in particolare di chi abbraccia una vocazione di speciale dedizione al servizio del Vangelo”.
Ogni cammino vocazionale diviene, quindi, un vero e proprio pellegrinaggio di vita, dove ciascuno è chiamato a cercare libertà e felicità. Dice Gesù: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29).
Ma ogni partenza, ogni esodo richiede una motivazione forte e coinvolgente.
Su questa motivazione appassionata e provocante, s’incentra la tematica vocazionale che l’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni propone alla Chiesa italiana: “Toccati dalla Bellezza di Gesù”, sperimentando la gioia dei discepoli sul Monte Tabor, ognuno di noi è chiamato a ripetere: “È bello stare con Te, Signore!”.
In tanti nostri giovani, così spesso bistrattati dall’epidemia di sondaggi mirati a darci di loro un’immagine scialba e parziale, possiamo trovare la freschezza dell’amore che non fa calcoli, che non viene filtrato da mille processi razionali: sono l’amore e la solidarietà che sanno coinvolgersi e si sporcano le mani.
A questi giovani si rivolge Papa Francesco: “A volte le incognite e le preoccupazioni per il futuro e l’incertezza che intacca la quotidianità rischiano di paralizzare questi loro slanci, di frenare i loro sogni (…) Quanto è bello lasciarsi sorprendere dalla chiamata di Dio, accogliere la sua Parola, mettere i passi della vostra esistenza sulle orme di Gesù, nell’adorazione del mistero divino e nella dedizione generosa agli altri! La vostra vita diventerà ogni giorno più ricca e più gioiosa!”.
Una scrittrice lettone contemporanea, Zenta Maurina Raudive (1897-1978), che all’età di cinque anni fu colpita da poliomielite spinale che la costrinse per tutta la vita sulla sedia a rotelle, scrive: “All’unità del mondo contribuisce ogni singola persona che sappia realizzare queste tre cose: spiritualizzare la propria vita; prendersi a cuore il conoscere l’altro e ascoltarlo; essere abbastanza umile per valorizzare ciò che gli è estraneo”.
*direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni della Cei