La nuova comunità diocesana

Dopo la nomina di Antonio Bello (1982-1993) alle sedi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi (10 agosto 1982), l’assetto diocesano fu sottoposto ad un’ulteriore trasformazione con la nomina del medesimo presule alla sede di Ruvo (30 settembre 1982). L’unione con Bitonto cessò di esistere e la diocesi fu unita in persona episcopi a Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi.
Nel frattempo gli effetti del Vaticano II continuarono a farsi sentire e ad influire sul nuovo sistema dei rapporti stabilitisi fra la Chiesa e gli Stati. Giunse così a termine l’opera di revisione degli accordi concordatari fra la S. Sede e la Repubblica Italiana e con essa la riduzione del numero delle diocesi poste sul territorio della penisola. Dapprima Giovanni Paolo II (cost. ap. Qui Beatissimo Petro, 20 ottobre 1980) aveva disposto che le tre diocesi tornassero ad essere suffraganee del metropolita di Bari, poi il decreto della Congregazione per i Vescovi del 30 settembre 1986 giunse a sancire la piena unificazione delle quattro diocesi nell’unica denominata Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi e attribuì questo nuovo titolo episcopale a mons. Bello. In realtà l’atto formale della Congregazione non fece altro che conferire carattere giuridico ad un’opera di unificazione già attuata di fatto, almeno per Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, a cominciare da Salvucci.
L’episcopato di Bello coincise con un periodo di grave crisi morale, sociale ed economica (l’episodio più grave, verificatosi nel 1992, fu l’omicidio del sindaco di Molfetta Gianni Carnicella), come pure di avvenimenti politici ed internazionali che attirarono l’attenzione dell’opinione pubblica sulla testimonianza personale del vescovo, sul suo magistero – nel frattempo egli era diventato presidente nazionale di Pax Christi (1985) – e sul significato di taluni suoi gesti emblematici e talvolta provocatori. Nell’ambito diocesano, tuttavia, il presule operò in favore del risveglio delle coscienze – spesso assopite, deluse e rassegnate – della crescita spirituale dei fedeli e della costante attenzione nei riguardi delle povertà emergenti. In questo contesto si coglie il senso della fondazione nella periferia di Ruvo del Centro di Accoglienza e Solidarietà Apulia (per il recupero dei tossicodipendenti) e dello sviluppo dei Centri di accoglienza della Caritas diocesana, particolarmente impegnati per il sostegno degli immigrati dai paesi africani, asiatici e dall’est europeo.
Tuttavia, la Chiesa diocesana si trovò coinvolta anche in una vasta operazione di rinnovamento delle proprie strutture e della sua organizzazione. Molti organismi si adeguarono o furono istituiti secondo quanto disposto nel nuovo Codice di Diritto Canonico (1983): dal Collegio dei Consultori al Consiglio presbiterale, dai Consigli pastorali diocesano e parrocchiali ai Consigli per gli affari economici. L’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero iniziò la sua attività con la partecipazione attiva dei laici e diventò più frequente la mobilità degli incarichi e degli uffici ecclesiastici. Furono numerosi gli edifici di culto condotti a termine o che si iniziarono ad edificare insieme agli ambienti di ministero parrocchiale, mentre si dette l’avvio alla riforma statutaria delle confraternite, le quali continuavano a comprendere nell’orbita della loro attività devozionale e caritativa una vasta massa di adulti e di giovani uomini. Nel 1983 mons. Bello separò definitivamente dal Capitolo di Ruvo la cura animarum della parrocchia Cattedrale e nel 1990 approvò i nuovi statuti del Capitolo Cattedrale di Molfetta, che consentirono l’ingresso dei sacerdoti delle altre città e posero l’ufficio canonicale nella prospettiva della preghiera sacerdotale comune e dell’esercizio del ministero dei canonici nell’ambito della chiesa Cattedrale e in collaborazione con la parrocchia. Sul piano culturale – fra gli anni 1984-1985 – si procedette al riassetto dell’Archivio Diocesano di Molfetta (attivo dal 1974) e all’istituzione degli archivi storici nelle altre tre città.
Sebbene nel frattempo si fossero verificati un significativo ricambio generazionale del clero e una maggiore corresponsabilizzazione del laicato, crebbero le difficoltà in rapporto all’efficacia dell’azione pastorale ed affiorò l’insufficienza dell’istituzione parrocchiale – rimasta pur sempre insostituibile – per raggiungere, accogliere e coinvolgere una popolazione per certi aspetti dinamica e sfuggente, per altri aspetti sensibile alla dimensione religiosa, generosa e non sempre legata a concezioni tradizionali della fede cristiana, ma frequentemente contraddittoria negli atteggiamenti e nei comportamenti. Un altro inconveniente emerso è la breve durata media degli episcopati succedutisi dal 1969. Tuttavia, il nome del servo di Dio Antonio Bello chiude una lista di membri delle locali comunità ecclesiali che dalla metà del Novecento hanno incrementato la schiera dei testimoni esemplari della fede cristiana, fra cui meritano di essere ricordati: due martiri del XX secolo, il terlizzese don Pietro Pappagallo (1888-1944), fucilato alle Fosse Ardeatine, e p. Michele Stallone (1921-1965), di Giovinazzo, missionario della Consolata ucciso in Kenia; i molfettesi Marta Poli (1897-1957), catechista dell’Azione Cattolica e martire della sofferenza, Michelangelo Turillo (1887-1960), educatore, pioniere dell’Azione Cattolica, Terziario francescano e Cavaliere di Malta, Saverio De Simone (1910- 1937), Presidente Federale della Gioventù Maschile di Azione Cattolica, don Cosmo Azzollini (1913-1966), iniziatore dell’Oratorio San Filippo Neri e Vincenzo Zagami (1901-1983), fondatore del circolo ACLI e sindaco della città e soprattutto il vescovo Achille Salvucci; per Ruvo Amalia Di Rella (1934-1998), entrata nell’Ordo virginum e fondatrice delle Discepole del Volto Santo; la giovinazzese suor Gabriella Illuzzi (1902-1986), fondatrice delle Suore Missionarie dell’Oratorio, e per Terlizzi il cappuccino p. Agostino da Triggiano (Giuseppe De Frenza, 1915-1989).
L’episcopato di Donato Negro (rettore del Seminario Regionale Pugliese, nominato vescovo il 22 dicembre 1993 e promosso arcivescovo di Otranto nel 2000) ha restituito maggiori energie e sistematicità nell’amministrazione della diocesi; nello stesso tempo, però, ha messo a fuoco la necessità di incrementare l’attenzione al clero e alle vocazioni, alla formazione spirituale e culturale dei sacerdoti e all’opportunità di incentivare le esperienze di vita comune. Significativi sono stati il restauro e la ristrutturazione del seminario vescovile – reso più adatto alle esigenze pedagogiche moderne – e l’istituzione in Molfetta della casa canonica interparrocchiale.
Nonostante le difficoltà, i ritardi, gli ostacoli, le debolezze e le incomprensioni, il rinnovamento della vita ecclesiale voluto dal Vaticano II ha segnato irreversibilmente lo stile e il volto della Chiesa di Molfetta-Ruvo-GiovinazzoTerlizzi. Nel solco della sua tradizione storica la comunità diocesana ha continuato ad offrire alla Chiesa di Puglia, alla società italiana e alla Santa Sede il servizio di numerosi laici e preti motivati e competenti, i quali sono stati chiamati a svolgere ruoli di particolare responsabilità insieme a missionari e religiosi, distribuiti in ogni parte del mondo, che hanno maturato la propria vocazione nel seno della Chiesa locale. Si tenga conto, per altro, che fra il 1990 e il 2006 due sacerdoti e due religiosi originari della diocesi sono stati elevati alla dignità episcopale: Beniamino Depalma, vincenziano (arcivescovo di Amalfi e poi di Nola), Felice di Molfetta (vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano), Angelo Amato, salesiano (Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede) e Nicola Girasoli (Nunzio Apostolico).
In questo vivo contesto di fede e di storia si è innestato l’episcopato di Luigi Martella, direttore spirituale nel Seminario Regionale Pugliese e docente di Teologia morale nell’Istituto Teologico Pugliese, nominato vescovo di MolfettaRuvo-Giovinazzo-Terlizzi il 13 dicembre 2000.

Luigi Michele de Palma