Così neppur si rispetta la 194

a cura di Antonio Rubino

Un ricorso al Tar Puglia (prima udienza giovedì 15 luglio) da parte di nove medici obiettori e una lettera del Forum pugliese delle associazioni familiari a consiglieri regionali e giunta hanno sollevato il dibattito sulla deliberazione di Giunta Regionale (n. 735 dello scorso marzo) riguardante il progetto di riorganizzazione della rete consultoriale pugliese. A suscitare polemiche è la parte in cui si prevede l’assegnazione di risorse per l’integrazione della dotazione organica con medici e ostetriche non obiettori per i consultori che assicurano il collegamento territorio-ospedale e per la dotazione dei consultori interdistrettuali per la popolazione migrante. L’Udc con una interpellanza e il centro-destra con un ordine del giorno hanno chiesto una discussione in Consiglio regionale. Secondo i dati preliminari del ministero della Salute, le Ivg (interruzioni volontarie di gravidanza) in Puglia nel 2008 sono state 9.962 (8,2% del totale); il tasso di abortività del 10% (media nazionale 8,7).

Applicare la 194. “Condividiamo l’intento dell’assessore regionale alla Salute di ridurre le Ivg, tuttavia crediamo che il perseguimento di questo fine non dipenda dalla allocazione del processo abortivo – ospedale pubblico piuttosto che clinica privata – ma dalla applicazione dell’art. 5 della 194, che prevede di aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, offrendole gli aiuti necessari durante la gravidanza e dopo il parto”, dice Lodovica Carli, presidente regionale del Forum delle associazioni familiari. Tutelare la libertà della donna significa “restituirle il diritto di diventare madre, non lasciandola sola con i suoi problemi, ma garantendo che le istituzioni e la società civile se ne facciano carico”. Significa per esempio “inserire queste donne in corsie preferenziali per l’asilo nido o prevedere un sostegno economico ai nuclei in difficoltà”. Secondo Carli, la “Regione deve farsi garante di tutto questo”. Carli spiega, inoltre, che gli interventi devono essere sempre effettuati “con il consenso della donna che si rivolge al consultorio”. Perciò “non serve discriminare gli obiettori, ma assicurare che chi lavora nei consultori, e nelle altre strutture preposte, operi realmente per la corretta ed integrale applicazione dell’art. 5 della legge 194”. “Chiediamo ai capi gruppo regionali una audizione, alla presenza degli assessori alla Salute e al Welfare, per aprire un confronto e rappresentare le nostre proposte”; tra queste, “la presenza di rappresentanti delle associazioni familiari nell’Osservatorio regionale per la tutela della salute della donna, che è preposto al coordinamento dei consultori”.

Pregiudizio ideologico. “La Puglia ha primati tristissimi: è la prima in Italia nel numero di aborti per ogni mille nati vivi e per numero di recidive ed è prima nel Sud per tasso di abortività; a questa triste situazione la Regione risponde introducendo per prima la Ru486”, dice Donato Dellino, ginecologo, responsabile regionale di “Medicina e Persona” e tra i firmatari del ricorso al Tar. “Il fatto che poche donne si rivolgano ai consultori significa che non funzionano bene”, prosegue. “Dai progetti di ristrutturazione della rete consultoriale non verrà fuori nulla se non cambia l’impostazione: il consultorio deve essere un’occasione in cui la donna incontra qualcuno che si interessa a lei”. I consultori, inoltre, “servono per il supporto alla famiglia; ma questo riferimento è stato tolto dal piano sanitario regionale”. “L’intento di escludere obiettori” è frutto di “un pregiudizio ideologico”. Dellino, infine, mette in guardia sul fenomeno degli “aborti clandestini”.

Coinvolgere le associazioni. “Il piano di potenziamento dei consultori risulta molto promettente, per esempio nel potenziamento dei servizi interculturali e del percorso nascita”, dice mons. Luigi Renna, docente di morale alla Facoltà teologica pugliese, “tuttavia, concretamente, non appare ancora pienamente rispondente alla legge 194 perché mancano gli elementi che favoriscono il dialogo con la donna che sta decidendo”. Primo fra tutti “il coinvolgimento della rete delle valide associazioni presenti sul territorio”. “Non promuovendo questa presenza fatta di solidarietà, la deliberazione regionale si riduce ad implementare la dotazione organica con ginecologi e ostetriche non obiettori”, continua. “Si comprende la preoccupazione del legislatore, che di fronte ad una consistente presenza di medici obiettori vuole garantire chi decide per la Ivg, ma tutto finisce per ridursi ad un sì o un no all’aborto, senza alcun tipo di accompagnamento alla decisione e alla vita”. In questa situazione “è legittima la preoccupazione dei medici obiettori che si sentono esclusi”, ma come società civile occorrerebbe anche chiedersi: “Il numero delle altre professionalità presenti nei consultori è adeguato?”. Ed, inoltre, “perché non sono molto numerosi i non obiettori, anche quelli che hanno iniziato col praticare l’aborto? Solo per motivi di fede o ideologici? O piuttosto perché col tempo fanno i conti con la propria coscienza?”.

a cura di Antonio Rubino