Luce e Vita - Liturgia

Sui moras incolatus miro clausit ordine

di Lorenzo Pisani

eucaristia

eucaristiaSui moras incolatus miro clausit ordine.

Sono parole del Pange lingua, l’antichissimo inno eucaristico che cantiamo pure in questo secondo Giovedì Santo con le restrizioni da COVID19.

Quante volte le avrò cantate. Fino a quando, qualche giorno fa, mi sono incuriosito alla traduzione letterale (per via della traduzione italiana a senso, che è pure molto bella).

Miro ordine clausit moras sui incolatus.

In un modo meravigliosamente bello [il Signore Gesù] chiuse il tempo della sua permanenza da ospite [tra noi].

Incolatus, quarta declinazione; traduzione, nell’ordine: residenza, soggiorno in un paese straniero, esilio.

Magari sbaglio, qualche latinista potrebbe avere da ridire. Eppure sento echi evangelici: dal Padre sono venuto e al Padre ritorno.

Come non provare un brivido di struggimento, nel canto di queste parole al Giovedì Santo, l’ultima sera prima di perderti. Troppo breve è stato averti con noi, ospite tanto atteso e così diverso dalle attese. Questo avranno pensato i suoi cari: appena tre anni di vita con discepoli, poco più di trenta con la Madre.

Dopo ti abbiamo riavuto in un modo che sfugge alla nostra comprensione. Ed abbiamo la promessa che sarai con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. A quella promessa anche noi abbiamo creduto. Ma, perché negarlo, per quelli che ti hanno udito, visto, contemplato, toccato, sulle strade e nelle case della Palestina, non sarà stata la stessa cosa.

In fondo, per noi uomini, il tempo è sempre troppo breve. E questa benedetta pandemia sembra che ce lo stia rubando il tempo: lavoro, socialità, viaggi, ma, soprattutto, mesi di giochi all’aria aperta rubati ai più piccoli, mesi di esperienze rubati ai giovani, mesi di affetti rubati ai nostri anziani rimasti prudentemente soli.

Il modo migliore per vincere lo struggimento di questa sera di addio, o Signore, è quello di vederti in chi ci sta accanto. Persone da accarezzare con lo sguardo del giovedì santo e, almeno provarci, persone da amare e servire, così come sono. Senza dimenticare i molti, più sfortunati, esclusi dalla nostra narrazione quotidiana.

Pure con questa dolce malinconia, è Pasqua.