Per una conversione ecologica. Verso il referendum del 17 aprile

di Onofrio Losito

É cominciata (fortunatamente) la campagna al voto referendario del prossimo 17 aprile. Il referendum, voluto da 9 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto) preoccupate per le conseguenze ambientali e per i contraccolpi sul turismo di un maggiore sfruttamento degli idrocarburi, non propone un alt immediato né generalizzato. Chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine (circa 22,2 km) dalle coste italiane senza limiti di tempo. 
La domanda che si troverà stampata sulle schede è “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?” Dunque chi vuole – in prospettiva – eliminare le trivelle dai mari italiani deve votare Sì, chi vuole che le trivelle restino senza una scadenza deve votare No. Lo stop non sarebbe immediato, ma arriverebbe solo alla scadenza dei contratti già attivi. Il referendum avrebbe conseguenze già entro il 2018 per 21 concessioni in totale sulle 31 attive: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Il quesito referendario riguarda anche 9 permessi di ricerca, 4 nell’alto Adriatico, 2 nell’Adriatico centrale, uno nel mare di Sicilia e uno al largo di Pantelleria.
Secondo i calcoli elaborati su dati del Ministero dello Sviluppo economico, le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per coprire l’intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi (l’85% del petrolio italiano viene dai pozzi a terra, non in discussione, e un terzo di quello estratto in mare viene da una piattaforma oltre le 12 miglia, non in discussione).
A preoccupare non sono solo gli incidenti, ma anche le operazioni di routine che provocano un inquinamento di fondo: in mare aperto il catrame depositato sui nostri fondali raggiunge una densità di 38 milligrammi per metro quadrato: tre volte superiore a quella del Mar dei Sargassi, che raggiunge 10 microgrammi per metro quadrato.
Dopo il rilascio della concessione gli idrocarburi diventano proprietà di chi li estrae. Per le attività in mare la società petrolifera è tenuta a versare alle casse dello Stato il 7% del valore del petrolio e il 10% di quello del gas (800 milioni di tasse, 400 di royalties e concessioni). Dunque: il 90-93% degli idrocarburi estratti può essere portato via e venduto altrove. I posti di lavoro immediatamente a rischio (calo del turismo, diminuzione dell’appeal della bellezza del paese) sono molti di più di quelli che nel corso dei prossimi decenni si perderebbero man mano che scadono le licenze (le attività legate all’estrazione danno lavoro diretto a più di 10.000 persone).
Le trivelle potrebbero mettere a rischio la vera ricchezza del Paese: il turismo, che contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà lavoro a 1 milione e 400.000 persone.
Andare a votare è pertanto un esercizio importante di democrazia. In gioco ci sono il rapporto tra energia e territorio, il ruolo dei combustibili fossili, il futuro dello stesso referendum come strumento di democrazia. Alla conferenza sul clima di Parigi 194 Paesi si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un taglio radicale e rapido dell’uso dei combustibili fossili, innovare e fare ricerca sul miglioramento del rendimento e dell’efficienza delle energie rinnovabili. La responsabilità verso l’ambiente e le generazioni presenti e future richiede coraggio e lungimiranza da parte di tutti, oltre che la disponibilità a fare talvolta anche dei passi indietro per raggiungere la misura della sobrietà, valore inseparabile dalla solidarietà. Occorre puntare a nuovi stili di vita, rinnovando un’alleanza tra l’umanità e l’ambiente, stimolando a quella che Papa Francesco chiama la “conversione ecologica” (Laudato sì n. 216 – 221) di ciascuno, unica condizione di gioia e di pace durature per tutti. 
Per tale ragione sentiamo di aderire alle ragioni del Sì al voto referendario; riteniamo che la sfida ambientale non possa scindersi da quella educativa, che si compie attraverso un esercizio delle proprie responsabilità per agire di conseguenza in maniera solidale ed ecologicamente sostenibile, a cominciare proprio dalle nostre famiglie.