“Il futuro incalza, cari amici, e noi dobbiamo essere pronti a costruirlo, a dargli forma, a diradare le nebbie dell’incertezza. Quale futuro sarà? Cosa fare? Come dobbiamo prepararlo?” Domande che Mons. Luigi Martella si poneva a conclusione della Visita pastorale svolta dal 2006 al 2008 (con una pausa dovuta al malore cardiaco che si manifestò la prima volta proprio in piena visita). Lo ricordiamo a 5 anni dalla sua morte, avvenuta d’improvviso nella serata di lunedì 6 luglio 2015, evento che ci lasciò attoniti. Solo la fede può offrirci luci di speranza per leggere i tristi eventi che d’improvviso squarciano il nostro tempo e il nostro spazio.
Mi porto dentro il cruccio per non essermi allarmato quando, dalla adiacente redazione di Luce e Vita, cercavo di contattarlo nel suo appartamento per telefono, per metterci d’accordo in vista della ricorrenza del 7 luglio, anniversario dell’assassinio del sindaco Carnicella. La non risposta la considerai come assenza, in realtà così non fu. E, al mattino presto, quella telefonata agghiacciante mi portò a catapultarmi da Ruvo a Molfetta per ritrovarlo inerme in quella triste bara.
Ottavo di 10 figli, originario di Depressa (LE), eletto vescovo il 13 dicembre 2000, dal 10 marzo 2001 pastore della nostra diocesi di Molfetta Ruvo Giovinazzo Terlizzi, don Gino scelse come motto episcopale “Propter nomen suum”, “Per amore del suo nome” ispirandosi a Cristo Buon Pastore. “Io sono il Buon Pastore e il Buon Pastore dà la vita per le pecore – aveva detto don Mimmo Amato nella messa celebrata quella triste mattina in Episcopio, davanti alla salma – e don Gino questo è stato, un buon pastore che ha dato la vita per noi”.
L’ultimo periodo di vita è stato per lui molto pesante per le grosse responsabilità che gli erano state affidate fuori diocesi, ma anche per le immancabili situazioni interne e, per un carattere schivo come il suo, queste non potevano non essere somatizzate. Alcuni colloqui personali me ne avevano dato conferma. Non è il caso qui di richiamare le sue iniziative pastorali: in quasi quindici anni di episcopato sono state tante le realizzazioni come le scelte pastorali per i giovani, l’educazione, la famiglia, il rilancio del Museo diocesano affidato a giovani, l’ultimo progetto pastorale – che traduceva le linee dettate dal convegno di Verona – appena presentato, ma non attuato, la pastorale nelle periferie delle città, le lettere pastorali, la promozione del laicato… Di quest’ultima ho potuto sperimentare personalmente la piena fiducia e accoglienza delle idee e delle proposte dei laici, sia quando ho presieduto l’Azione Cattolica diocesana, sia quando mi affidò la vicedirezione e la direzione di Luce e Vita e dell’Ufficio Comunicazioni sociali. Non sono mancati anche momenti di contrarietà affrontati e risolti con grande rispetto e orientamento al bene di tutti. Naturalmente ciò che rimane con più evidenza è l’aver dato avvio e conclusione in modo oculato alla fase diocesana del processo di canonizzazione di don Tonino Bello, grazie alla perfetta intesa con don Mimmo Amato.
Ma non sarebbe rispettoso continuare a vedere e parlare delle persone, in questo caso del vescovo, solo in funzione della loro azione in riferimento a don Tonino Bello, con tutta la consapevolezza che ho di quanto questa presenza abbia segnato e segnerà la vita della nostra Diocesi. L’ho capito meglio – ma io ne ero convinto – in occasione di un convegno in cui parlò il Prof. Savagnone e un mio intervento, nel dibattito seguente, fece intendere al Vescovo il rimpianto del passato (quello degli anni di don Tonino). Egli si inalberò, redarguendomi davanti ad alcune persone, e io non potetti fare altro che chiedere scusa e rimettere, con una lettera di chiarificazione, le mie dimissioni dal ruolo diocesano a Luce e Vita. Passati alcuni giorni ci incontrammo e con un abbraccio “amichevole” ci chiedemmo scusa a vicenda, trovando insieme la sintesi e l’intesa del pensiero.
Un uomo disponibile, ma riservato e riflessivo. Come non ricordare anche la sua vena pittorica, tenuta strettamente in privato, a maggiore dimostrazione della sua timidezza?
Quindici anni, quelli di Martella, che andranno studiati dal punto di vista pastorale in relazione agli eventi sociali. Una vita che si è fatta storia e che ancora prolunga i suoi esiti nell’agire attuale. Tornando a quell’omelia conclusiva della visita pastorale, don Gino ebbe modo di dire: “È il nostro crònos, spesso funestato da pesanti negatività che dobbiamo trasformare in kairòs, cioè, tempo di grazia, tempo di qualità, di senso pieno e di palpitante passione. Il mondo, questo nostro mondo, quello che è intorno a noi, ha estremo bisogno di ciò che noi, cristiani, possiamo dare”. Questo “dare” Martella lo ha visto soprattutto sul piano educativo “sapendo anche che la sfida dell’educare non è opera di navigatori solitari, bensì di tutti”. È quanto vogliamo proseguire a fare, ciascuno nel suo ruolo, memori anche dei suoi insegnamenti.
Luigi Sparapano (scritto e pubblicato in l‘Altra Molfetta di luglio 2020)