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DDL Zan: una sintesi è possibile

Editoriale del 23 luglio 2021

ddl zan

ddl zanIl tormentato dibattito che ormai da mesi ruota attorno al DDL Zan, il quale in dieci articoli rimodula ed estende la vecchia Legge Mancini contro le discriminazioni fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, ha palesato una profonda frattura presente nell’opinione pubblica. Infatti, la nuova proposta di legge, già approvata alla Camera, tra franchi tiratori di area democratica e netti oppositori, è impantanata ormai da alcuni mesi mesi al Senato. La polemica è stata accesa soprattutto dalla nota della Santa Sede, secondo la quale l’attuale disegno di legge violerebbe il vigente regime di concordato.

A onor del vero, non è secondario osservare come siano molti i giuristi, costituzionalisti e politici di vari schieramenti politici, di destra ma anche da sinistra, che hanno evidenziato nel testo incoerenze dell’impianto concettuale e liquidità semantica. Insomma, si tratta di un DDL che ha mosso un’ondata di critiche, a nostro avviso in buona parte costruttive, ma anche qualcuna faziosa.

Era dunque lecito che la Chiesa mettesse il becco su questioni di competenza dello Stato italiano? Quali sono gli aspetti più controversi? E, ancora, è opportuna una legge di questo genere, vista la presenza di altre leggi che già tutelano le minoranze contro le discriminazioni?

Per ragioni di spazio ci limitiamo a evidenziare le principali obiezioni.

La prima riguarda il comma d) dell’art. 1 che dà delle definizioni di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere fin troppo vaghi e non rappresentative della pluralità delle visioni presenti nel nostro paese. Per esempio, l’identità di genere viene definita come “l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dal­l’aver concluso un percorso di transizione”. A leggere bene questa definizione è palese quanto essa sia piuttosto vaga; e ciò è in contrasto con il principio costituzionale della “determinatezza della disposizione penale” secondo la quale il giudice è chiamato a decidere sulla base di criteri chiari e precisi.

Invece, in questo caso, il giudice dovrebbe essere chiamato a valutare sanzioni penali fino a un anno e sei mesi di carcere sulla base di criteri “percepiti”, cioè soggettivi; criteri dunque che possono cambiare negli anni, da persona a persona, se non addirittura sulla base degli umori individuali di colui che ritiene di aver subito l’offesa.

La seconda è relativa alla libertà di parola presente nell’art. 4 quando dice che “sono fatte salve la libera espressione… e le condotte legittime… purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. In quale modo si declinerebbe quel “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori e violenti”? Stando all’articolo non è ben chiaro il discrimen tra la libertà di espressione e la condotta sanzionabile. Così, per alcuni costituzionalisti, il disegno di legge, lungi dall’aggiungere un ulteriore strumento normativo per contrastare in maniera più efficace le discriminazioni, aumenterebbe l’incertezza sull’ambito delle condotte punibili penalmente. Anzi, lo stesso strumento normativo potrebbe suscitare la propensione ad essere usato per denunce penali, attraverso il sostegno di avvocati abili e compiacenti (e sappiamo in Italia quanto sia facile!) al fine di “colpire la manifestazione di orientamenti dissenzienti rispetto a tesi sgradite o dominanti, quale che ne sia l’orientamento” come dice un recente articolo di Avvenire.

L’art. 7 infine, introduce la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” per il 17 maggio di ogni anno e stabilisce che le scuole provvedano alle relative attività, “nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’art. 1 della legge 13 luglio 2015 n. 107”. Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, per tale data, dovrebbero organizzare iniziative dedicate al tema in oggetto, senza distinzione tra scuole pubbliche e scuole paritarie. Le iniziative educative e culturali dovrebbero avvenire nel rispetto “dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curriculare, extracurriculare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito dell’autonomia scolastica”.  In tal senso, su questo articolo, proprio perché viene salvaguardata l’autonomia scolastica, i pericoli di interferenze didattiche denunciate soprattutto dalle scuole cattoliche ci sembrano minime; ma non possiamo far notare la superfluità, se non addirittura l’inutilità, di tale articolo visto che è già implicitamente nei compiti formativi della scuola quello di educare al rispetto della dignità di ogni persona e al rispetto dell’uguaglianza di tutti senza alcuna distinzione. Chi lavora in ambito scolastico, infatti, sa bene quanto le iniziative educative e culturali siano prese in piena collegialità.

Premesso tutto quello che abbiamo detto, a nostro avviso, rimane necessaria una legge che contrasti nello specifico la discriminazione omotransfobica. Avanzare nei diritti è sempre una priorità. Quello che auspichiamo è che, per il bene di tutti, anche a costo di allungare ulteriormente l’iter parlamentare, si arrivi a una soluzione quanto più possibile condivisa. Ci sono temi, come quello legato alle discriminazioni verso le minoranze, che dovrebbero unire in maniera trasversale realtà apparentemente inconciliabili. Al di là degli schieramenti e delle declinazioni politiche di alcuni principi è possibile arrivare a un terreno comune vastissimo. Basterebbe spogliarsi di lenti ideologiche e di rigidità preconcette.

Giovanni Capurso

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