Esperienza in Albania

di Armando Fichera

Ripartire dagli ultimi. È stato il monito di don Tonino Bello che in questa terza esperienza in Albania mi ha trasmesso la carica giusta per vivere al meglio il servizio a favore dei bambini magyjpe di Scutari.

È risaputo che ogni viaggio metta in atto un cambiamento nella vita, soprattutto se accompagnato dalla voglia di rendersi utile e di imparare qualcosa attraverso la dinamica del dono.

L’Albania, nella settimana vissuta, ha consegnato a me semplice volontario due grandi insegnamenti che non avrei mai immaginato di esperire.

Calpestando le strade albanesi si respira una profonda fede. Tra i cattolici ho sentito una forza che fino ad ora non avevo percepito. Dopo il terrore del regime comunista durato all’incirca 50 anni, la fede cattolica negli albanesi è motivo di orgoglio, di libertà, di sincero amore per Gesù Cristo perché già messa alla prova, defraudata e motivo di condanna a morte.

Partire come volontario cattolico per servire bambini musulmani, sapendo che avrei potuto testimoniare la fede in Cristo solo con le opere e i sorrisi senza mai pronunciarne il nome, me Lo ha fatto amare di più. Questo è vero tanto che in questa settimana in ben due occasioni ho sentito il Suo camminarmi a fianco.

Il primo insegnamento di questo cammino è stata la consapevolezza che da soli non si va da nessuna parte, ma che per conoscere Dio è necessario l’incontro, anche quello con chi non crede nel tuo stesso Dio. Una grande forza del “Villaggio della Pace” è il fatto che maestre, animatori, religiosi e bambini sono felici insieme, non riuscirebbero a fare a meno l’uno dell’altro nonostante la differenza di credo. Il giorno del Bajrami, ultimo del mese del Ramadan, i bambini musulmani hanno partecipato all’oratorio rinviando la loro presenza alle celebrazioni successive. La fede professata quindi può essere differente, ma la bellezza di credere nell’Uomo diventa motivo d’unione.

Non mi vergogno a sostenere che, se ora la mia fede in Dio è più forte, è anche grazie all’aver vissuto con chi con semplicità e meraviglia mi ha fatto percepire che Dio lo ha incontrato.

Il secondo insegnamento, nato da una esperienza sconvolgente ma che, a posteriori, ritengo esilarante, l’ho ricevuto dall’essere stato “profugo per qualche minuto”.

Questa vicenda, scaturita da un episodio equivoco sulla mia nazionalità messa in dubbio a causa della mia carnagione scura e della mia barba, mi ha fatto vestire per pochi attimi i panni di un migrante, di un ragazzo alla ricerca di una vita migliore, di un uomo qualunque che ogni tanto qualcuno pensa di poter etichettare facendogli perdere l’identità. Sentirmi privato della mia storia, rischiando di essere spedito altrove solo per una carnagione un po’ più scura, mi ha reso consapevole che, spesso, paura e smarrimento sono routine per chi, a causa di giudizi affrettati, oggi non racconta più la sua storia perché non trova qualcuno che si dedichi a lui per ascoltarla.

Infine, quest’ultima esperienza mi ha regalato qualcosa di inaspettato: attraverso l’unione nella differenza e il vestire i panni dei più poveri, ho vissuto sulla mia pelle come la convivialità sia una vera ricchezza, ma soprattutto come, per essere pienamente cristiano e per amare di più Cristo, sia necessario camminare sul passo degli ultimi e guardare il mondo dal loro punto di vista.