Luce e Vita - Attualità

Famiglia: le nuove solitudini

A proposito di ragazzi e social

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smartphoneNon si era ancora spenta l’eco della tragedia di Palermo, che ha visto una ragazzina ennesima vittima di uno dei tanti, insensati giochi estremi proposti dai social, quando qualcosa di analogo, o almeno così pare, è capitata anche dalle nostre parti e a farne le spese questa volta un bambino ancora più piccolo. Ma quanti episodi più o meno simili avvengono in tutto il mondo?

Questo è uno degli aspetti più preoccupanti della degenerazione dei social network, che fin troppo spesso “sociali” non sono, influenzando soprattutto i più piccoli a mettere in atto comportamenti riprovevoli, come il bullismo, o pericolosi, tipo certe gare che possono comprometterne la vita, al solo scopo di ottenere il maggior numero seguaci (followers) e di gradimenti (likes).

Lungi da me l’intenzione di demonizzare queste applicazioni della rete che per molti versi ci sono anche molto utili, quanto piuttosto il voler sottolineare la necessità di educare le fasce di età più giovani e più indifese ad un uso più consapevole di internet e di quello che ci offre, soprattutto perché, in nome di una (falsa) libertà, i gestori non riescono (o non vogliono) farlo.

Strettamente connesso è il discorso sull’opportunità o meno di permettere ad un bambino di utilizzare un cellulare sofisticato (uno smartphone, per intenderci) e su quale sia l’età più opportuna per darglielo in pianta stabile onde evitare che, come spesso accade, finisca col diventarne dipendente in modo ossessivo (cosiddetta web addiction), fino a costituire una vera patologia.

Quel che si vede in giro non è certo confortante. Già in tenerissima età è un continuo smanettare dei nostri “nativi digitali” su apparecchi di ultima generazione: solo videogiochi o anche altro? Senza alcun controllo da parte degli adulti. Perché essi a loro volta stanno quasi tutto il giorno appesi ai loro cellulari, da cui sono inseparabili, proprio come se fossero parte del loro stesso corpo.

Spesso per strada mi capita di assistere alla stessa scena: la madre che cammina stando assorta al telefono e non badando per nulla al figlio che la segue ad un bella distanza. Potrebbe capitargli chissà cosa, ma a lei sembra non gliene importi. Per non parlare di altre madri che fanno fatica a spingere il passeggino, ma non si scollano dall’aggeggio, nemmeno se il figlio piange.

Se invece osserviamo in un locale pubblico una famiglia, notiamo che, nell’attesa della consumazione, sia il padre, sia la madre, sia gli eventuali figli sono tutti intenti ed attenti al proprio smartphone. Probabilmente sono connessi con chissà quale parte del mondo, ma del tutto sconnessi tra loro. Si ignorano. Non comunicano. Non si parlano. E’ tragico, ma è la realtà.

Credo che la mia generazione sia stata l’ultima a scambiarsi qualche parola intorno ad un tavolo, a pranzo o a cena. E allora non è che il dialogo fosse facile! Ma almeno si riusciva a restare informati sulle faccende familiari. Poi è arrivato il convitato di pietra, sua maestà il televisore, unica voce ammessa. Infine il cellulare, che ha separato definitivamente gli uni dagli altri.

In tal modo si sono realizzate nuove solitudini. Favorite dal fatto che oggi non ci sono più orari né luoghi fissi. Si corre di qua e di là, si mangia dove capita. La famiglia: dove sta? E il povero bambino abbandonato a se stesso si aggrappa a quello che c’è. Il social, ad esempio. Dove ci sono gli amici, ma anche terribili nemici. Cose che di solito un genitore ignora, mentre dovrebbe proprio sapere.

Giuseppe Gragnaniello