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Giornata contro violenza sulle donne: serve una “rivoluzione copernicana” del paradigma maschile

Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne

La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, quest’anno, ha il volto di Masha Amini, la studentessa 22enne iraniana massacrata per non aver indossato correttamente il velo. Un episodio che ha fatto da detonatore alle proteste delle donne di tutto il mondo, con il gesto simbolico del taglio di capelli, e che da due mesi genera proteste in Iran, tanto da aver indotto le autorità del Paese ad emettere la prima condanna a morte. L’identità del condannato non è stata diffusa, né tantomeno la sua età. Un incolpevole invisibile, che evoca per contrasto il volto di altri colpevoli – quelli sì reali e ben visibili – che violentano, sfigurano, uccidono quotidianamente la dignità delle donne. Tanto da costringerci a coniare un termine, anch’esso intrinsecamente e profondamente lesivo della dignità femminile, come “femminicidi”. Parola nuova diventata purtroppo familiare alle nostre orecchie, spesso indifferenti al contatore delle vittime che aumenta vertiginosamente ogni giorno, nel silenzio generale. Al massimo, si liquida il tutto con le frasi di rito pronunciate nei confronti degli autori dei delitti: “era una persona tranquilla, una brava persona”.

La violenza contro le donne rappresenta una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ancora oggi, spesso non viene denunciata a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano.

Nella maggior parte dei casi la donna che denuncia risulta essere già stata vittima di pregressi maltrattamenti, taciuti per anni, da parte degli “uomini di casa”.
Che sia violenza fisica, sessuale, psicologica od economica, la violenza, in tutte le sue forme, si radica e progredisce nella disuguaglianza e nella discriminazione. Alla radice, infatti, di ogni violenza sulle donne c’è il problema del rapporto tra i sessi, tra l’identità maschile e quella femminile.
Alla resilienza delle donne, anche nelle situazioni più estreme, deve corrispondere una “rivoluzione copernicana” dell’identità maschile: l’amore non è possesso e dominio, le donne lo sanno bene. Per invertire la tendenza, non serve la retorica, ma un autentico cambiamento di paradigma, come quello chiesto ripetutamente da Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, in sintonia con gli accenti rivoluzionari usati da Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem, la prima enciclica dedicata interamente da un Pontefice alla questione femminile. “Quanta violenza c’è nei confronti delle donne! Basta!”: con questo grido Papa Francesco ha iniziato il 2022, nell’omelia della Messa del 1° gennaio scorso: “Ferire una donna è oltraggiare Dio”. Il nuovo anno, per lui, inizia nel segno della Madre: “Lo sguardo materno è la via per rinascere e crescere. Le madri, le donne guardano il mondo non per sfruttarlo, ma perché abbia vita: guardando con il cuore, riescono a tenere insieme i sogni e la concretezza”. La via dell’umanizzazione di un mondo in guerra, oggi, passa da qui.

 

M.Michela Nicolais / SIR