Bentornato don Paolo, sono passati due anni dall’inizio della sua missione in Kenya. Il suo progetto ha preso forma?
Sì, la 37 parrocchia della diocesi di Molfetta, la parrocchia Immacolata di Log Logo, sta prendendo forma. Il 16 luglio sono stato incaricato come primo parroco, all’ultima parrocchia di Log Logo, dopo venticinque anni in cui la comunità è stata senza guida spirituale. Bisogna ora edificare la nuova chiesa e i diversi ambienti, dove i fedeli potranno riunirsi in preghiera e seguire un cammino pastorale. Vedo la presenza costante della Vergine nella mia vita; provengo dall’Immacolata, sono nato il giorno dell’Immacolata, sono stato ordinato il giorno dell’Immacolata e destinato come primo parroco della diocesi di Marsabit, proprio alla parrocchia Immacolata. Faccio di questa presenza un punto di forza per la conduzione della mia missione evangelica in Kenya.
Come si svolge la sua giornata pastorale?
Si svolge come la giornata di tutti i sacerdoti. Alle 6.00 del mattino i fedeli cominciano a riunirsi in chiesa per pregare la coroncina della misericordia e per animare la Santa Messa alle 6.30. Dopo la celebrazione si dedica del tempo all’adorazione eucaristica. Inizia poi la giornata lavorativa. Alcuni giorni sono dedicati alla visita delle scuole, tre delle quali sono al di fuori di Log Logo, altri giorni sono dedicati alla formazione degli animatori per le attività oratoriane e dei catechisti. Attualmente abbiamo solo due catechisti, per cui molto tempo è dedicato alla loro formazione. Mi auguro che qualche suora salesiana possa venire a darci una mano per avviare le attività di catechesi e oratorio. Nel pomeriggio, tutti i giorni vi è l’adorazione eucaristica e la recita del Rosario. La parola di Dio è il punto di partenza e arrivo di tutta la missione, una missione che si svolge in un territorio disomogeneo di circa 26 km e con una popolazione diversamente distribuita.
Quali sono le difficoltà che incontra?
Io non le chiamerei difficoltà, ma sfide. Una è certamente l’islamizzazione. I cristiani sono pochi. Molti hanno abbracciato l’Islam perché ha garantito stabilità economica e regole chiare su cui basare la loro vita. Altra sfida da affrontare e da tenere in considerazione è che si tratta di popoli nomadi e quindi, prima o poi cambiano residenza. Ma certamente, la sfida più complessa sono i giovani. Una volta raggiunta la maturità, vanno nelle grandi città a cercare lavoro, per cui sembra di dover sempre ricominciare tutto daccapo. Parlare del Vangelo non basta, bisogna essere concreti e risolvere problemi di ordinaria quotidianità, creare opportunità di lavoro, servizi.
Una delle sfide dell’Europa è l’interazione tra Islam e Cristianesimo. Come convivono le due religioni, in Kenya?
Convivono da sempre. L’islam è ancorato al passato e non è in grado di aprirsi alle innovazioni, rispetto al Cristianesimo che è stato capace di accogliere le sfide. L’Africa si basa su una cultura di stampo maschilista, perciò l’Islam con le sue regole che si reggono sulla sharia, ha attecchito facilmente. In Kenya, la situazione è abbastanza serena. Infatti ho incontrato l‘Imam subito dopo essere stato nominato parroco. I nostri rapporti sono rispettosi e di reciproca scoperta.
Può raccontarci un aneddoto che esprima il “potere del Vangelo trasformante”?
C’è un uomo, molto anziano e molto povero, con gravi difficoltà di deambulazione, non parla e non sa leggere, che fa tre km al giorno per venire a pregare in chiesa. è sempre il primo. Mi sono domandato perché questa persona è sempre presente nonostante la povertà e le difficoltà. Non chiede nulla, non pretende, prega e basta. L’eucarestia trasforma.
Lei ha scritto due libri, uno dei quali intitolato “Abitare la delusione”, come ha abitato la delusione?
La delusione non è il centro. Anche lì c’è la presenza di Dio, purchè non ci si concentri sull’idea di un Dio che punisce. Ho abitato io stesso la delusione, accogliendola come opportunità di ulteriore crescita.
Torniamo al suo progetto, quali i progetti con la nostra diocesi?
Monsignor Cornacchia è molto entusiasta, attento ai missionari e alla mia persona, in quanto fidei donum. Sarebbe auspicabile una presenza concreta di altri sacerdoti, anche nella 37 parrocchia della diocesi. Per i seminaristi o per chi vive l’anno del diaconato, potrebbe essere l’opportunità a sperimentare l’esodo della spiritualità, donandosi alla missione, anche se solo per pochi mesi.
Come possono i laici sostenere la sua missione, don Paolo?
I laici possono sostenerci con la preghiera continua e con le donazioni per la costruzione della chiesa e dell’intera struttura. Il progetto, gratuitamente offerto da tre architetti terlizzesi, prevede la costruzione di una chiesa che può contenere fino a 500 persone, della sacrestia, dell’ufficio e di una sala accoglienza. Il costo totale dell’opera è di 300.000 euro e ci vorrebbero circa 8 mesi di lavoro per realizzarla. Sono stati già in molti a sostenermi con le loro donazioni, spero che anche le parrocchie della diocesi di Molfetta, si adoperino per farlo.
Grazie don Paolo per il suo tempo, le auguriamo un cammino sereno.
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© Luce e Vita n.34 del 22 ottobre 2017