Lettera al futuro Papa

Gianluca de Candia

Santità,

la sede di Pietro è vacante. Nell’interstizio fra le dimissioni di Benedetto XVI e la Sua elezione, un po’ tutti, atei e credenti, ci troviamo ad immaginare in anticipo la novità del Suo pontificato. Non sappiamo ancora come potremo rivolgerci a Lei: Pio XIII, Giovanni XXIV, Paolo VII, Giovanni Paolo III o Benedetto XVII? Fuor di retorica, sappiamo bene che dietro ognuno di questi nomi è nascosto un intero stile, un modo di proporre la fede, di affrontare il difficile rapporto della Chiesa con la cultura contemporanea. Una cosa è certa: la rinuncia dell’ufficio pastorale da parte del Suo predecessore ha chiuso una stagione. Essa è stata un atto di implicita modernizzazione, che ‘relativizza’ la persona del Papa, ed in ciò, rappresenta forse l’ultimo grande atto del Concilio Vaticano II.

D’ora in poi la ‘persona’ del romano Pontefice ‘ che fin’ora era nascosta dietro l’alone inossidabile della sua autorità sacrale ‘, potrà riemergere in modo più realistico, umile. Con ‘persona’ si guarda ora all’uomo Joseph Ratzinger (che come ognuno di noi è fragile, fallibile, invecchia), con ‘autorità’ ci si riferisce alla sua potestà di giurisdizione e al significato infallibile del suo magistero ex cathedra. Nessuno oserà più rivolgersi a Ratzinger chiamandolo: ‘Santità’ ‘ né lui desidererà più questo appellativo.

Così Lei, Santo Padre, nonostante alcuni l’abbiano fregiata ante praevisa merita del titolo di ‘antipapa’, in

realtà potrà salire al soglio petrino con una coscienza un po’ meno infelice, consapevole che i diritti della sua ‘persona’ saranno rispettati e forse accolti meglio di come, in questi giorni, si commenta la rinuncia di Benedetto XVI.

Con le dimissioni del Suo predecessore Le è lasciata infatti una grande eredità e insieme, forse, un testamento. La decisione di Papa Benedetto ha tutti i segni della profezia, e come ogni profezia potrebbe avere conseguenze che andranno ben oltre le intenzioni di chi l’ha posta in essere (come fu per Giovanni XXIII, che indicendo il Concilio spinse in mare aperto la Chiesa Cattolica, senza poter calcolare né la rotta, né l’approdo). È una profezia che realizza ulteriormente quel Concilio, assumendo la ‘storia concreta’ come la vera ermeneutica della fede. La storia: con i suoi bisogni, con la sua precarietà, fallibilità, con l’eterogenesi dei fini può diventare il vaso del passaggio di una possibile rivelazione di Dio.

C’è chi si spaventa di fronte al gesto così genuinamente umano del Suo predecessore, ma quando l’umano emerge in modo così umile, non c’è da temere per l’integrità della fede. Ci aspettiamo da Lei, Santità, che sappia raccogliere questa sfida indicandoci vie percorribili, strade di realismo cristiano, che non fuggano la contemporaneità, ma se ne facciano carico. Non sembra forse anche a Lei che questo resta l’unico modo che ci è ancora dato per incarnare almeno un po’ il Vangelo?

In attesa di conoscerLa.