Quello tra Guglielmo Minervini e don Tonino Bello a Molfetta fu un cammino comune. Anzi congiunto, condiviso. Perché realmente si trattò di un percorso compiuto insieme, quasi mano nella mano. Il primo proveniva dall’esperienza scout nel centro storico della città che l’aveva forgiato allo stile del servizio e a una passione per la pace a tutto tondo e l’altro – il Vescovo – arrivava in quella diocesi con il desiderio di mettersi realmente al servizio di una Parola incalzante che non lasciava spazio a infingimenti e merletti e intendeva piuttosto servire la gente, quel popolo che, come indicava la fede nuziale della madre, scelta quale anello episcopale, era stato chiamato a sposare. E pertanto non è soltanto un dato temporale che la scelta dell’impegno per la pace da parte del vescovo corrisponda alla maturazione di Guglielmo e del suo amico fraterno Franco De Palo dell’obiezione di coscienza al servizio militare e del servizio civile alternativo. La Casa per la pace con il servizio di ascolto e di accoglienza dei poveri, col doposcuola e le iniziative di promozione della cultura della pace, viveva un vero e proprio cordone ombelicale con il vescovado e quel monsignore in 500 che riusciva a riservare un’attenzione assoluta tanto alle persone in carne ed ossa, che parlavano il dialetto locale, quanto alle povertà globali e ai conflitti internazionali. Maturarono insieme, maturarono entrambi “avendo in corpo l’occhio del povero”.
La propria appartenenza a Pax Christi, le prese di posizione contro la militarizzazione della Murgia, l’accoglienza delle famiglie sfrattate, le dichiarazioni a favore dei primi albanesi ancorati al porto di Bari e lo spazio riservato anche a loro nel palazzo del Vescovo; gli interventi sulla mancanza del lavoro, sul disagio dei marittimi e delle loro famiglie, sul problema abitativo. Certo, don Tonino contava sugli organismi pastorali e sui suoi più stretti collaboratori di curia, ma spesso era Guglielmo a proporre o a stimolare e suggerire. Con grande rispetto e senza sbavature o invasioni di campo, che peraltro con don Tonino si sarebbero rivelati solo tentativi vani. E il filo conduttore che attraversava e teneva insieme tutte queste cose era la forza della pace “da osare per fede” come entrambi ricordavano spesso. Sarà lo stesso Guglielmo, intervistato da La Gazzetta del Mezzogiorno nel decennale della morte di don Tonino, ad affermare: “è impossibile ricordare don Tonino senza soffermarsi sul ruolo che l’impegno per la pace rivestiva nella sua testimonianza. Certo, la pace era innanzitutto un problema di fede, però diveniva, nella sua riflessione, anche una centrale sfida per la politica e per l’economia. Non gli sfuggiva il carattere problematico e spesso anche drammatico della costruzione della pace. Ma anche sulla pace, don Tonino non stava con tutti”. Perché dal rischio di diluire la testimonianza per renderla gradita o di ridurre la statura e la profondità, tanto del Vescovo quanto del laico impegnato nella santità del sociale e della politica, dobbiamo preservarli e preservarci. Pena quell’omologazione dal basso da cui mettevano continuamente in guardia.
* Presidente Pro Civitate Christiana
Pubblicato su Luce e Vita speciale n.16 del 20 aprile 2018, in occasione della visita del Papa a Molfetta