Reti sempre più vuote

di Onofrio Losito

Questa volta il commissario europeo Greco Maria Damanaki, responsabile degli Affari Marittimi e della Pesca non ha concesso più deroghe. E quello che gli operatori della pesca temevano sin dal lontano 2006, cioè l’attuazione del nuovo regolamento comunitario inerente le nuove misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile della pesca nel Mediterraneo, si è avverato lo scorso 1° giugno. La sua entrata in vigore ha creato uno stato di agitazione per effetto delle temute disposizioni sull’utilizzo di reti a maglie larghe e sulla modifica delle distanze dalla costa consentite per l’attività di pesca. Tutti i comparti marittimi dell’Adriatico sono in continua agitazione e tra forme di proteste simboliche come la consegna delle licenze di pesca solo recentemente i natanti, compresi quelli di Molfetta, sono tornati in mare per pescare con le nuove reti a maglia larga.

Un’ulteriore difficoltà che si aggiunge ad un settore già afflitto da grandi problemi che ne pongono a rischio la sua stessa esistenza. Ne abbiamo parlato con il dott. Francesco Gesmundo, membro dell’unità di crisi istituita per l’occasione presso il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, quale rappresentante dell’associazione nazionale Federpesca.

La situazione non è semplice, esordisce Gesmundo, specie se si vuole giustamente cercare di ricreare un equilibrio tra la capacità riproduttiva del mare e lo sforzo di pesca a cui esso è sottoposto, senza però mettere in campo adeguate risorse finanziarie. L’equilibrio sociale, ambientale e sostenibile, prosegue Gesmundo, sta privilegiando per ora solo la dimensione ambientale che sulla base di studi scientifici sull’utilizzo dell’attrezzo di pesca, ha concluso che all’aumentare della maglia della rete vi sono maggiori probabilità di fuga del pesce di piccola taglia contribuendo così più velocemente alla ripopolazione del mare. In questa analisi però intravedo delle lacune. Innanzitutto tale regolamento è applicato ai soli paesi europei mentre è noto che sul mediterraneo si affacciano stati non europei che non avendo alcun obbligo in tal senso possono certamente vanificare gli sforzi di ripopolazione data la mobilità del pesce che è una risorsa per tutti gli stati del Mediterraneo. Inoltre non ci sono studi che garantiscono la sopravvivenza del pesce di piccola taglia sottoposto comunque allo stress della cattura, capace di sfuggire in prevalenza dalle nuove reti solo quando la rete viene issata a bordo. Ci stiamo battendo per avere dati certi in tal senso in modo da ottenere un anticipo dei processi di verifica dell’andamento del pescato con il nuovo regolamento dal 2012 come previsti al 2011. Con tali dati il quadro sarà più chiaro e probabilmente potrebbe scaturire un confronto per effettuare dei cambiamenti sul regolamento. Da una nostra analisi infatti prevediamo che tali nuove reti impatteranno negativamente più sulle imbarcazione di piccola stazza che per quelle di pesca d’altura, incidendo con perdite che vanno dal 40% al 70% a seconda della tipologia di pesce di piccolo taglio tradizionalmente pescate ed utilizzate nella nostra cucina mediterranea.

Purtroppo il Ministero non ha messo in campo nessuna risorsa salvo il ristanziamento dei 30 milioni di euro già previsti per la crisi del 2008, e mai arrivati. Ma tranne questi soldi “riciclati”, le idee in campo per affrontare questa nuova situazione sembrano siano un fermo biologico straordinario e misure di sostenibilità sociale attinte in deroga dai fondi FAS oppure utilizzando delle risorse del FEP, il fondo europeo per la pesca destinato agli investimenti dei processi di ammodernamento e potenziamento del settore ittico. Soluzioni tampone a cui si pensa di coinvolgere anche le regioni competenti, seppure questo potrebbe creare uno scompenso fra regioni con maggiori risorse economiche ed altre con meno risorse. Questo perché il regolamento comunitario apre margini di deroga territoriali a patto che venga salvaguardato l’obiettivo generale di protezione e conservazione delle risorse del mediterraneo e di riduzione dello sforzo di pesca.

A conclusione del nostro colloquio con il dott. Gesmundo, abbiamo chiara la percezione di una situazione non semplice in cui si devono affrontare le sfide del cambiamento trovando un giusto equilibrio tra la tutela della risorsa ittica, quella dell’economia che su di essa si regge, ma soprattutto quella del rispetto della dignità delle persone coinvolte.