Berlino: continuare a vivere, per non darla vinta al terrorismo

Terrorismo

Non arrendersi, continuare a vivere. Testardi, coraggiosi. Anche di fronte al male inspiegabile e senza ragioni, a un dolore condiviso eppure inconsolabile. L’attentato di lunedì 19 dicembre al mercatino di Breitscheidplatz, nel quartiere di Charlottenburg a Berlino, che ha provocato 12 morti e una lunga lista di feriti, lascia un’altra traccia indelebile nella storia della Germania e dell’Europa contemporanee. Ancora terrorismo, dopo Parigi, Bruxelles, Madrid, Londra, Istanbul, Ankara… Una guerra dentro casa che si origina lontano dall’Europa, in conflitti infiniti e sottosviluppo persistente; così pure una guerra dentro casa alimentata da emarginazione sociale, fanatismo pseudo-religioso, devianze culturali.
Ma, appunto, al terrorismo non ci si può arrendere. Occorre alzare la guardia sul versante della risposta immediata, con leggi severe, rafforzamento dell’intelligence, stretta collaborazione superando i confini nazionali di magistratura e forze di polizia. E con una politica estera accorta, che sa tessere legami virtuosi e trasparenti con i Paesi del vicinato europeo, mediorientale e africano. Una politica che stringe alleanze, per tutelare i propri cittadini e per intervenire, nel rispetto del diritto internazionale, a sanare i conflitti che circondano l’Europa stessa, a partire dal fronte siriano.
Per contrastare il terrorismo serve, d’altro canto – e come si è già detto infinite volte – un’azione educativa, sociale, persino spirituale, volta a rafforzare il profilo identitario dei cittadini e dei popoli europei. Una crescita culturale complessiva, che contrasti i timori diffusi, rassereni gli animi, tolga la terra sotto ai piedi a xenofobia, populismi e nazionalismi dilaganti che si annidano nelle coscienze popolari; i quali aggiungono benzina al fuoco di chi intende destabilizzare le democrazie, negando i diritti fondamentali a partire dal primo e assoluto: il diritto alla vita.
Le reazioni immediate all’attentato di Berlino vanno esattamente in questa direzione. Autorevole e costruttivo il richiamo di Papa Francesco, il quale “si unisce a tutti gli uomini di buona volontà che s’impegnano affinché la follia omicida del terrorismo non trovi più spazio nel nostro mondo”. Gli fa eco il presidente della Conferenza episcopale tedesca, cardinale Reinhard Marx: “La violenza al mercato di Natale è il contrario di ciò che i visitatori desideravano. In questo momento difficile per la città di Berlino e per il nostro Paese, è importante che restiamo uniti come società e stiamo insieme”. Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, argomenta: “Si capisce la paura, lo scoraggiamento, la rassegnazione. Ma non è un segno d’incoscienza dire: non possiamo fare il loro gioco e dare a queste persone il potere di annientare qualsiasi voglia di vivere, di andare avanti, di cambiare”.
Anche Angela Merkel ha avuto parole sagge. Accusata (forse per basse ragioni elettorali) di avere sulla propria coscienza i morti di Berlino in relazione alla politica di accoglienza e integrazione esercitata dal suo governo, la cancelliera tedesca, dopo essersi detta “sconvolta e triste” e aver giustamente promesso di agire con la “massima severità che le leggi tedesche consentono”, ha dichiarato: se l’attentatore fosse un profugo si tratterebbe di un fatto “particolarmente orrendo, dinanzi ai numerosi tedeschi che aiutano i migranti” e persino dinanzi ai “numerosi migranti che cercano davvero protezione nel nostro Paese”. Quindi ha ammesso – come dovrebbe fare un politico onesto di fronte alla complessità degli eventi – di “non avere risposte semplici”. Peraltro “non dobbiamo rinunciare ai mercatini di Natale, alle belle ore con la nostra famiglia. Non vogliamo vivere paralizzati dalla paura. Troveremo la forza per continuare ad essere uniti, aperti, liberi”.
Essere determinati, forti, liberi, sereni, aperti. È ciò che i terroristi non sono e che vorrebbero negare al genere umano. Non si può dargliela vinta.