La banalità del Natale? Roba per bambini banali. Ma va là..

Natale

“In questo mondo materiale pieno di anime
gli angeli suonano i loro corni per tutto il giorno
L’intero mondo sembra passare in processione
Ma c’è qualcuno che ascolta la musica che suonano?
Qualcuno ci prova almeno?”

Il Bob Dylan di “Tre angeli” parla del Natale, dell’indifferenza e della fretta della gente, incapace perfino di vedere angeli – forse piccoli mendicanti? – che suonano in un angolo della strada. Ma il cantautore premio Nobel non è il solo a notare l’apatia mascherata da fretta per arrivare a casa a festeggiare. Non riusciamo a vedere. Anche perché, se vediamo, e quello che vediamo ci muove il cuore, c’è sempre qualche sapiente che con aria sufficiente ti mette un timbro in fronte: lacrimevole, pietistico, banale, scontato, mellifluo, lezioso, compassionevole, sentimentale. E’ superiore, lui, mica ci casca, non fa parte di quelli che si commuovono facilmente, ci mancherebbe, con la cultura che si ritrova, figuriamoci se si fa prendere per il naso dai luoghi comuni… Ecco, questo è il punto. Ci si fa grandi con questa parola: luoghi comuni.

Il povero a Natale continua ad essere povero. Sta lì apposta, secondo il gran furbo, per farci cadere in un luogo comune, ma lui non ci casca. E’ un luogo comune, mica un essere in carne, ossa e una certa fame, anche. Così facciamo sparire il povero dal nostro orizzonte visivo, in quanto potrebbe scatenare sentimenti lacrimevoli, leziosi, scontati. Per carità.

È un po’ come quando si dice “non stai al passo con i tempi!”, come se vecchio fosse sinonimo di non vero, e nuovo di vero. Quando un racconto o una poesia ci parlano di infanzia abbandonata, o di bontà, o di poveri, ecco che subito quello-che-ha-capito-tutto ci ammonisce che è roba già vista, che è ridicolmente lagrimevole. Tutto il resto è cattiva letteratura. Manzoni inorridirebbe. Come a dire che il Gran Lombardo, Dickens, Dostoevskij, Pascoli, Gozzano, e pure Pirandello, e Dylan, ma anche Shakespeare, Rebora hanno fatto cattiva letteratura. Parlare di un bambino che ha fame è sdolcinato, secondo quest’ottica. Parlare di una famiglia arrivata con il barcone è sdolcinato, per alcuni, mentre per altri più attenti all’attualità magari è più trendy, e allora va bene, ma attenzione a non cadere nell’emozione, ci mancherebbe.
I poveri che vanno a mangiare nelle mense Caritas? Perché parlarne a Natale? È lacrimevole, sentimentalistico, non sia mai. E degli uomini e delle donne sole?
Di una di quelle donne il “materialista” Jack London ci ha lasciato un ritratto indimenticabile nel suo dimenticato “Il popolo dell’abisso”: “dio mi fulmini se ne ho un’idea, – disse lei (rispondendo alla domanda su come pensasse di invecchiare, Ndr). – Lo so che per me non c’è speranza, ma voglio morire per strada. Niente ospizio, grazie. Proprio no, – sospirò nel silenzio che era calato. (…) – È incredibile il cibo che lascia certa gente, – intervenne la donna. Mentre andavamo via, raccolse qualche crosta di pane dai tavoli vicini e la nascose da qualche parte nei suoi stracci”.
Anche questa è demagogica lacrimevole retorica? Se sì, allora la realtà stessa è lacrimevole e demagogica.
Il fatto è che cerchiamo di rimuovere, con la scusa della banalità, quello che ci dà fastidio. Che sia banale notarlo non vuol dire che non esista. I bambini ci appaiono banali, ma vedono quello che c’è e non lo rimuovono. Sono spesso più realisti di noi, e forse per questo a loro piace così tanto Natale. Non si vergognano –ancora- di essere “scontati” e “lacrimevoli”.