Casa di Accoglienza “don Tonino Bello”

Gestita dalla Caritas diocesana

l 9 febbraio 1989, il Servo di Dio mons. Antonio Bello inaugurò a Molfetta la Casa d’Accoglienza, destinata ad ospitare le persone in difficoltà.
Per la sua sede don Tonino  utilizzò un edificio dato in comodato d’uso dalle suore del SS. Nome di Gesù, poi acquistato e ristrutturato dalla diocesi grazie al Vescovo Mons. Luigi Martella e nel 2003 intitolata a don Tonino Bello. Gestita dalla Caritas Diocesana e dai volontari che nel corso degli anni si sono susseguiti, è stato il luogo in cui tanti giovani hanno scelto di vivere l’esperienza dell’obiezione di coscienza prima, del servizio civile e dell’anno di volontariato sociale poi, spendendosi per vivere accanto ai più bisognosi.
La Casa nasce innanzitutto, per rispondere alle emergenze del territorio ed ha visto nel corso degli anni trasformare continuamente la tipologia di utenti. Famiglie vittime di sfratti, senza fissa dimora, uomini e donne soli con problemi economici, vittime della disoccupazione, dell’alcool e della solitudine. Ha spalancato nel corso degli anni le sue porte durante le tante emergenze che si sono susseguite, accogliendo immigrati provenienti dall’Albania dopo la caduta del regime comunista, dall’ex-Jugoslavia, dal Kossovo e dall’Iraq in guerra, dalla Tunisia durante la “primavera araba” fino ai nord-Africani arrivati a Lampedusa in fuga dalla Libia.
Il nove febbraio 2014 ha compiuto 25 anni… e la sua attività continua  incessantemente 365 giorni l’anno perché le situazioni di povertà e i bisogni sono sempre in aumento.
 
Campo di intervento
Oggetto degli interventi è l’accoglienza e il sostegno al disagio adulto. In particolar modo ad uomini e donne disoccupati, anziani soli e con problemi economici, separati, senza fissa dimora, immigrati, rifugiati politici e richiedenti asilo. L’attenzione alle fragilità, alle nuove povertà e alle emergenze del territorio sono le priorità  per gli operatori, che promuovono una cultura della cura e del sostegno all’unità della persona, percorsi di integrazione tra uomini e donne di culture differenti in nome della “convivialità delle differenze”. Promuovono inoltre, la trasmissione della fede attraverso l’esercizio del dono gratuito di sé agli ultimi, il senso evangelico di fare carità, quella carità che richiama la giustizia.
Tra i servizi offerti agli ospiti sono da evidenziare l’ascolto delle difficoltà emergenti nella vita della persona da cui scaturiscono: il servizio guardaroba e doccia, una piccola farmacia, la mensa (in collaborazione con la mensa della Parrocchia San Domenico, a Molfetta, e con la mensa della Fraternità Francescana di Betania, a Terlizzi), l’ospitalità notturna.
 
Soggetti coinvolti
La Casa d’Accoglienza vuole essere una comunità di giovani che richiamandosi al Vangelo e all’insegnamento di don Tonino Bello scelgono di vivere una vita di condivisione con chi fatica a vivere, promuovendo cammini di liberazione dal bisogno.
Obiettori di coscienza, giovani in servizio civile e ragazzi dell’anno di volontariato sociale hanno svolto in questa struttura la loro esperienza di servizio. Oggi  anche tanti tirocinanti universitari e studenti delle scuole superiori sono coinvolti nei progetti di accoglienza. I volontari sono provenienti dal mondo dell’associazionismo cattolico e laico, e da 25 anni vivono all’interno della Casa la loro esperienza di servizio. Giovani credenti e non, provenienti da percorsi di studi differenti, settori lavorativi diversi che lavorano in equipe per sostenere gli utenti che ogni giorno bussano alla porta della Casa.
Gli Enti locali, Questura, Prefettura, Protezione Civile, Servizi Sociali dei Comuni vengono coinvolti nei progetti e nella risoluzione delle situazioni di emergenza.
 
Soggetti destinatari, finalità dell’iniziativa, strumenti
La Casa d’Accoglienza è stata pensata come una casa con le finestre spalancate sul territorio, pronta ad accogliere chi è in stato di bisogno, chi vive ai margini della società e cerca un luogo di ristoro, in cui avere non solo il soddisfacimento di bisogni primari, ma anche, e soprattutto, un luogo in cui fermarsi per far chiarezza nella propria vita e ripartire, con le ferite risanate, per costruire un futuro migliore. Se l’accoglienza è stile di vita, accogliere l’altro significa evitare atteggiamenti di superiorità.  Accogliere significa proporre sempre nuove occasioni di vita, inventare strade ed itinerari di ascolto sempre nuovi e diversi, mantenendo salda la convinzione che ciò che faticosamente facciamo è poca cosa dinanzi alla marea dei bisogni e all’ingiustizia di una società anche violenta. Ogni persona è un valore incondizionato, vale di per sé e non per le cose che possiede o meno, o per le situazioni che vive o per gli atteggiamenti che assume. Da qui  la tipologia di accoglienza praticata è “l’accoglienza terapeutica” che parte dalla convinzione che l’ultimo ha la necessità di sperimentare rapporti umani sinceri, paritari, che gli diano la calda sensazione di essere una persona che vale. L’importante in questo tipo di accoglienza non è tanto la capacità di organizzarsi nell’assistenza, quanto la capacità di aprirsi all’altro. Questo presuppone da parte degli operatori stima incondizionata e calore umano, disponibilità e comprensione.
 
Frutti sul territorio
Dall’esperienza di servizio vissuta all’interno della Casa alcuni giovani operatori hanno orientato la propria scelta di studi, alcuni hanno creato strutture di accoglienza per minori e per ragazze madri, altri hanno confermato la propria vocazione sacerdotale o al matrimonio. Tanti hanno orientato la propria vita sullo stile  del servizio, della solidarietà e della sobrietà.
 
Eventuali difficoltà e criticità incontrate
Non è sempre facile costruire una rete di servizi fondata sulla corresponsabilità, poiché spesso si vede nella Casa d’Accoglienza solo la risposta immediata ai bisogni. Le povertà degli utenti sono tante ed è difficile fornire risposte immediate a bisogni spesso latenti e/o complessi.
 
Eventuali proposte per superare il nodo problematico
Ricerca di dialogo continuo con tutte le associazioni, le comunità parrocchiali e gli Enti locali affinché tutti siano corresponsabili e collaborino, ognuno per il proprio settore d’interesse, alla risoluzione efficace dei problemi.
 
Riflessioni conclusive e prospettive
La Casa d’accoglienza nasceva 25 anni fa per essere “l’occhio che abilita la comunità ecclesiale a vedere” poiché come diceva il suo fondatore, “non possiamo nasconderci che, talvolta, preoccupanti forme di miopia ci hanno impedito dì scorgere Lazzaro perfino sul limitare delle nostre chiese. Che conclamati difetti di strabismo hanno provocato dissociazioni incredibili tra l’urgenza della domanda e la pigra lentezza delle nostre risposte. E che accentuate anomalie daltoniche non ci hanno permesso tempestivamente di distinguere, tra i tanti colori del caleidoscopio umano, il colore sanguinante della povertà.” Un “laboratorio da dove partano quegli “input” intelligenti e carichi di passione che diano al nostro impegno cristiano cadenze di concretezza, riscattino le nostre parole dal pericolo della sterilità, e mutino finalmente le pietre del nostro egoismo nel pane, caldo di forno, della solidarietà e della condivisione.” E non solo come “stazione provvisoria” per coloro che sono in situazioni di emergenza.
Oggi, 25 anni dopo, continua ad essere una palestra del cuore, che per evitare che diventi sterile ha bisogno di allenarsi ad amare gli ultimi, i poveri, i bisognosi. Allenarsi all’accoglienza, alla generosità, alla tolleranza, alla solidarietà, alla pazienza, al rispetto, alla semplicità e  alla condivisione.