Luce e Vita - Attualità

Don Samarelli: da Leopoli i primi profughi in diocesi

Missione profughi

 

È rientrato venerdì 11 marzo, intorno alle 18, il pullman che ha portato in Italia una cinquantina di profughi ucraini e partito dal Duomo di Molfetta martedì sera.

Tutto è  cominciato il Mercoledì delle Ceneri, quando nel pomeriggio don Gino Samarelli, parroco del Duomo, ha ascoltato in radio l’appello di don Egidio, sacerdote di San Luigi Orione, missionario a Leopoli. Provando a mettersi in contatto, è stato indirizzato verso don Giovanni, Direttore provinciale dell’Opera Don Orione. In breve, l’iniziativa, sostenuta dal Vescovo, ha visto il supporto di tante persone e associazioni non solo molfettesi, ma anche delle città limitrofe. L’importanza, umanitaria ed economica, di questa “missione” ha trovato riscontro in tante donazioni (di alimenti, indumenti, medicine, risorse economiche): un’ondata di generosità e passaparola non previsto.

Nella mattina di mercoledì 9 marzo, don Gino, 3 autisti, e alcuni volontari, tra cui un medico, un’infermiera bielorussa da anni residente in Italia e un fotografo, sono giunti a sono giunti a Santa Maria La Longa (vicino Udine), presso uno dei centri dell’Opera Don Orione, il Piccolo Cottolengo, che accoglie moltissimi disabili mentali. Qui hanno scaricato le derrate alimentari e si sono riposati per partire all’indomani nella prima mattinata, verso la frontiera ungherese, allertati delle difficoltà e della rigidità che avrebbero incontrato. Dopo 12 ore di viaggio, sono stati fermati pochi chilometri prima della frontiera, impossibilitati a proseguire. Don Gino, l’infermiera e il fotografo sono stati accompagnati presso il centro raccolta, per provare a spiegare le ragioni per cui erano lì.

Un freddo pungente e un ufficio militare con prevalente presenza femminile, soldati molto giovani e molto armati. All’esterno, dietro il cancello, tanta gente infreddolita. Circa due ore dopo, hanno potuto lasciare il centro raccolta. A bordo del pullman, in definitiva, 46 persone, tra cui 4 avrebbero solo dovuto attraversare la frontiera e proseguire autonomamente, 6 ciechi, 2 ragazze sole, nuclei familiari e persino 3 cani.

Dei profughi raccolti, 10 sono stati lasciati in Italia, presso parenti (a Spinea, Bologna e Pescara); i 6 ciechi sono stati accolti presso il Santuario dell’Incoronata (a Foggia); due nuclei familiari avrebbero raggiunto Martina Franca in serata; 2 nuclei familiari sono stati accolti presso la parrocchia S. Gioacchino di Terlizzi; gli altri a Molfetta: un nucleo familiare è stato ospitato presso la Casa di riposo “Don Grittani”,  uno presso la Madonna della Pace e uno presso la parrocchia S. Pio X.

Di rientro da questi 3 giorni, don Gino si porta «la commovente solidarietà, la surreale condizione alla frontiera: una guerra vista da occhi di ragazzi e persone infreddolite dietro i cancelli, una “versione aggiornata” di vecchi film. Stanotte pensavo all’inquietudine di aver abbandonato tutto all’improvviso. La dolcezza dello sguardo della ragazza-soldato, così stridente con il contesto ed è questo il volto contraddittorio di una guerra lontana ma vicina».

Tutti i profughi caricati a bordo del pullman sono stati tamponati, prima di essere accompagnati da parenti o presso i centri e le parrocchie che si son resi disponibili ad accoglierli. Nel viaggio di ritorno, a parte comunicazioni tecniche, si è preferito non avviare conversazioni personali, per non interferire con il carico di sofferenza che ciascuno ha portato con sé. Si è scelto di mettere da parte la curiosità di sapere, capire, provare a immaginare lo squilibrio che ha travolto le loro esistenze. Era necessario soprattutto allontanarli dalla confusione e dalla paura. Adesso l’auspicio è che si prosegua con l’accoglienza e il coordinamento tra autorità civili e Chiesa, per garantire serenità a quanti hanno dovuto improvvisamente fuggire dalla propria vita ordinaria.

Susanna M. de Candia

© Luce e Vita