La rubrica su La pastorale al tempo dei social non poteva rinunciare a dedicare uno spazio di riflessione anche ai fedeli laici (i precedenti articoli sono stati pubblicati nelle prime domenica da settembre a novembre, ndr) ovvero a tutti coloro che, non essendo né religiosi, ne chierici, in virtù del battesimo ricevuto, hanno il compito di partecipare alla missione di tutta la Chiesa all’interno delle realtà temporali (cf LG 31). Vivendo nel secolo, essi non solo sono pienamente inseriti nelle dinamiche sociali, ma sono specificatamente chiamati a ordinarle al Regno di Dio. Con la propria testimonianza di vita, nella loro professione e con il proprio impegno, hanno come proprio compito quello di rendere la Chiesa presente nel mondo, illuminare di spirito cristiano le dinamiche del contesto sociale.
Tra queste dinamiche rientrano a pieno titolo quelle comunicative che caratterizzano gran parte delle interazioni quotidiane. Anche se queste dinamiche non possono ridursi esclusivamente all’uso dei social, in quanto ogni atto umano di per sé è un atto comunicativo, tuttavia in questa sede si presentano alcune considerazioni limitatamente a quest’ultimo aspetto.
A più riprese, in occasione dei messaggi per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (GMCS), gli ultimi Pontefici hanno presentato non solo alcuni aspetti della comunicazione odierna, ma hanno delineato una vera e propria “teologia della comunicazione”, ovvero hanno offerto un metodo con il quale leggere evangelicamente questi aspetti e, conseguentemente, hanno evidenziato lo stile che dovrebbe caratterizzare un cristiano all’interno di essi. Chi riduce i messaggi delle GMCS alla stregua di isolati e generici approfondimenti tematici, non ha colto la ricchezza teologica e pastorale in essi contenuta che, mattone dopo mattone, sta pian piano edificando un sempre più ampio e aggiornato bagaglio pratico e dottrinale della Chiesa sul fenomeno umano della comunicazione. Un laico pertanto non potrebbe prescindere nell’uso dei social sia dal riferimento alle prassi indicate dai numerosi documenti ecclesiali relativi alla comunicazione, sia dalle indicazioni offerte dagli annuali messaggi. La conoscenza di tali riferimenti è vincolante tanto in ambito personale, quanto, e a maggior ragione, in ambito istituzionale, soprattutto nei casi in cui si ricoprono dei ruoli di rappresentatività e di responsabilità all’interno della Chiesa.
Accanto a questa prima considerazione di tipo dottrinale-formativo, occorre poi considerare un secondo aspetto più pratico. Come disciplina il Codice di Diritto Canonico vigente, ai laici è fatto obbligo sia di impegnarsi affinchè il messaggio cristiano si diffonda nel mondo [della comunicazione] (cf. can. 225), sia di cooperare con i propri Pastori affinchè l’uso degli strumenti di comunicazione sociale sia vivificato da spirito cristiano (cf. can. 822 §2 ). Per attuare queste due finalità è importante che la Chiesa instauri relazioni di collaborazione e di coinvolgimento di tutti coloro che operano professionalmente nel mondo della comunicazione per generare sempre più alleanze feconde tra gli aspetti tecnici e il contenuto del messaggio da trasmettere.
Ma oltre al contributo dei laici professionisti della comunicazione, può essere fatto molto di più e da tutti. I social per la loro intrinseca natura tendono ad essere non solo propagatori di notizie, ma spazi di incontro, luoghi di aggregazione. Il laico non può solo limitarsi ad usarli come canali per amplificare il messaggio cristiano, ma deve impegnarsi per renderli ambienti in cui tessere relazioni di comunione e fonti di progettualità. Non è raro infatti, attraverso di essi, poter entrare in contatto con altre persone che condividono gli stessi interessi e collaborare con queste alla creazione di community che superano i confini diocesani o nazionali. Più che mai è possibile creare nuove relazioni, entrare in contatto con buone prassi pastorali e condividerle. Non da ultimo sempre più laici si mettono in gioco per testimoniare in questi ambienti la loro vocazione sponsale, generando, attraverso interessanti e innovative proposte pastorali, nuove forme di interazione e di annuncio.
In sintesi, l’uso dei social dovrebbe essere sempre più un ausilio per creare vincoli di comunione di più ampio respiro, per venire a conoscenza di altre forme di testimonianza, per entrare in contatto con altre esperienze ecclesiali, senza perdere di vista le relazioni più prossime presenti all’interno della comunità. Sollecitazioni ancora lontane dalla realtà o già in atto?
Vincenzo Marinelli