Lola, orgogliosa venditrice di cianfrusaglie

di Luigi Sparapano

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Lola mi viene incontro, nei pressi di Piazza Garibaldi a Molfetta, con una vistosa croce di metallo sul petto scuro, brillante di stille di sudore, con le sue tante mercanzie distribuite fra le dieci dita e uno zaino che scoppia in spalla. Mi chiede di aiutarla comprando qualcosa e io approfitto per scambiare due parole. Le prime battute sono in inglese, ma per la mia lentezza lei sceglie l’italiano. Del resto vive in Italia da dieci anni e quindi lo parla sufficientemente bene. Io le chiedo di posare per un attimo le mercanzie: cover per smartphone, collanine, power bank, ventilatori a pile, e tantissime altre cose che le permettono di avere una varietà di prodotti, e per non deluderla compro qualcosa.

«Che posso fare? Devo lavorare. Vivo a Brindisi dove ho una bambina». Mentre io mi meraviglio rispetto alla distanza giornaliera che compie, Lola non si scompone e dice che ogni giorno va in paesi diversi. Mi chiede se sono del posto e io rispondo che sono di Ruvo. «Conosco Ruvo. Sono arrivata anche a Terlizzi, Corato e anche fino a Barletta. «L’importante è che vendo, che recupero almeno i soldi del biglietto».  Ma ci riesci? Quanto riesci a guadagnare ogni giorno? E lei ammette che ogni giorno è diverso. Giorni in cui recupera fino a 50 euro e giorni che ci rimette il biglietto. Intuendo che forse io consideri il suo lavoro ben poca cosa le mi ripete: «Che posso fare? Devo lavorare!».

Perché sei venuta qui dalla Nigeria? «Lì si crede che venendo in Europa i soldi si trovano per terra o sugli alberi, così facciamo di tutto per partire. Poi arriviamo in Libia e i sogni finiscono, ma rimangono i debiti. E quando arriviamo in Europa capiamo che i soldi non ci sono per terra, nè cadono dagli alberi. E allora sono guai». Perché lei partisse, infatti, la sua famiglia ha venduto un terreno e deve restituire i soldi altrimenti non può tornare. Oltre alla bambina che ha qui in Italia, di 8 anni, lei è madre anche di una ragazza che ne ha 20 ed è rimasta in Nigeria.

Suo padre ha quattro mogli e venti figli. Uno di questi la ricatta chiedendogli i soldi del terreno, ma lei non li ha. Quanto riesce a mettere da parte è di gran lunga inferiore. «Se torno senza soldi mi ammazza!».

«Quando sono arrivata in Libia mi hanno tolto tutto il denaro che avevo, quello del terreno, mi hanno usato violenza sotto gli occhi della Polizia. Lì fanno quello che vogliono. Qui in Italia non è così». Se lo dice lei… La cronaca di questi giorni in Italia fa pensare diversamente.

«Io sono libera, non ho padroni, nessuno mi comanda». Non so se crederle dato che è molto difficile per una nigeriana farsi strada senza protettori, ma lei sembra sincera. Ha fatto corsi per badante e per baby sitter ma non trova opportunità. Si è rifiutata di prostituirsi e il lavoro di venditrice ambulante che fa, per lei è tantissimo. «Molto meglio che stare in Nigeria. Fare questo lavoro per me importante. Che posso fare? Devo lavorare».

Proprio perché deve lavorare chiudo la conversazione, ci salutiamo, mi ringrazia. Le chiedo se posso offrirle qualcosa al bar ma lei deve lavorare. E io la saluto ringraziandola e scusandomi se non riusciamo ad offrirle di meglio.