“Popolo, un grazie ai tuoi Presbiteri”

di Domenico Amato

Nelle omelie della Messa Crismale del 1984 e 1985 don Tonino si rivolse ai sacerdoti ringraziandoli della testimonianza che offrivano e del servizio reso alla Chiesa. Ci piace, a conclusione dell’Anno Sacerdotale, riportare quelle espressioni quale attestazione del lavoro pastorale che tutti i sacerdoti svolgono nella nostra diocesi e nel mondo.

Nell’omelia del 1984, rifacendosi all’immagine dell’olio che scende copioso attraverso i sacramenti su tutto il popolo di Dio, Mons. Bello così scriveva:

«Scorra allora quest’olio sul capo e sul corpo intero di tutta la nostra Chiesa.

Grondi, in primo luogo, su di voi, miei cari presbiteri chiamati a essere testimoni di un mondo nuovo, condannati a vivere in un mondo vecchio che non vi capisce più, che forse vi disprezza, che forse vi discrimina, che forse vi sorride alle spalle, ma che ha bisogno inesorabilmente di voi. Delle parole di vita eterna che voi soltanto sapete pronunciare. Delle speranze indefettibili che voi più di ogni altro sapete piantare nel cuore della gente. Dei lembi di futuro che voi meglio di tutti sapete gioiosamente far balenare davanti agli occhi angosciati degli uomini. E se in questo momento è lecito rompere il ritmo della liturgia, vorrei che si levasse da tutta la Chiesa, miei cari presbiteri, un ringraziamento grande per quello che fate, per la testimonianza che date, per la lotta interiore che vivete ogni momento.

Grazie per la vostra povertà. Grazie per la vostra spoliazione. Grazie per la vostra solitudine feconda. Grazie per il vostro silenzio. Grazie per il sorriso con cui nascondete spesso amarezze e delusioni. Grazie per lo sperpero generoso della vostra vita. Grazie per le vostre fatiche che nessuno, nemmeno il vostro Vescovo, riesce a capire fino in fondo. Grazie per la libertà gaudiosa con cui rinunciando a una donna vostra, alle ricchezze vostre, alle vostre scelte parcellizzate, non trasudate disprezzi o malinconie, ma testimoniate la dimensione escatologica dell’esistenza. Anche se questo spesso vi fa consapevolmente soffrire. Grazie, fratelli nostri carissimi, per la caparbietà di atleti con cui lottate per l’avvento del Regno».

L’anno successivo rivolgendosi ai fedeli presenti in Cattedrale, chiedeva loro di esprimere il proprio grazie ai suoi presbiteri:

«E ora, popolo santo di Dio presente in questa Cattedrale, voglio invitarti a esprimere il tuo augurio affettuoso, fraterno, riconoscente a questi nostri poveri testimoni del Risorto.

Essi hanno il compito, con l’esercizio del loro sacerdozio ministeriale, di aiutarti a vivere il tuo sacerdozio universale. Se tu hai coscienza di essere un «popolo sacerdotale» è perché questi tuoi fratelli presbiteri ti danno una mano a diventare quello che sei. A loro, quindi, vada la gratitudine di tutti.

Io, per parte mia, non finirò mai di ringraziare il Signore perché mi ha messo accanto dei compagni di viaggio così generosi e così buoni. Da loro sto imparando molte cose. E tante volte, quando confronto la mia povertà con la loro ricchezza interiore, mi mortifico che il Signore abbia chiamato proprio il fratello minore al compito di fratello maggiore.

Grazie, presbiteri miei, per l’esempio che date, per il silenzio nel quale consumate tanti sacrifici, per certi olocausti di cui si intuisce solo il profumo. Grazie per la tensione con cui vivete esposti sui crinali della bufera, spesso condannati a essere incompresi, giudicati male, disprezzati. Grazie per il balenare di orizzonti nuovi che fate intravedere dalle feritoie della vostra genialità, della vostra preparazione, della vostra apertura ai segni dei tempi. Grazie, perché, nonostante il peso della giornata e del caldo, avete sempre un sorriso di riserva e una carezza d’avanzo per chi è più tribolato di voi. Grazie per la vostra crescente solidarietà con gli ultimi.

Grazie, infine, per la vostra stanchezza, per i vostri scoraggiamenti, per le vostre perplessità, che vi rendono così umani e così solidali con la nostra miseria feriale.

Il Signore vi conservi a lungo al nostro affetto. E la Vergine Santa, anche lei “serva premurosa” di Dio e del popolo, faccia del suo cuore lo scrigno della vostra povera vita».

Queste espressioni, di gratitudine ed affetto, lungi dall’essere un gratificante ossequio, indicano la meta alta a cui noi sacerdoti siamo chiamati.