Uniti ed integrati

di Vincenzo Zanzarella

Il 2 giugno è un’importante ricorrenza in quanto nel 1946, a seguito di un referendum che pose fine ad una lunga esperienza monarchica, nacque la Repubblica italiana. Qualcuno ha parlato di brogli elettorali e di maggioranza pilotata dei “sì”, cioè della volontà che fosse abrogata la monarchia quale forma di governo dell’Italia. Comunque, la disputa sui numeri ha poca importanza di fronte all’evidenza, storica e politica, di un sentimento repubblicano che si è diffuso tra gli italiani sin dall’800, per cui il passaggio elettorale è stato una ratifica della convinzione che il popolo già da tempo aveva.

Quella del 2 giugno è una ricorrenza “ponte” tra altre due evidenze storiche che ad oggi sono ancora in fase di compimento, ovvero sono avversate da spinte contrarie. La prima è l’unità dell’Italia, nata nel 1861 con ricorrenza nel 2011 del 150° anniversario, le cui celebrazioni sono iniziate da qualche mese. Nell’800, un popolo stanco di essere diviso in Stati spesso reciprocamente confliggenti, dopo grandi movimenti diplomatici e versamenti di sangue sui campi di battaglia ha scelto di riunirsi sotto un’unica bandiera e di vivere all’interno di un’unica identità nazionale. La seconda è l’europeismo, iniziato negli anni ’50 dello scorso secolo per confluire nella istituzione dell’Unione europea, con moneta unica e governo sovranazionale.

La nascita della Repubblica, quindi, non costituisce soltanto una questione organizzativa interna all’Italia indipendentemente dalle relazioni con altri Stati; quel 2 giugno è nato un Paese moderno, aperto al progresso, interessato a porsi accanto alle moderne democrazie, unito per fronteggiare i grandi temi dell’economia e dello sviluppo sociale. Il 2 giugno l’Italia ha consolidato il processo storico dell’unificazione diventando protagonista del proprio destino; al contempo si è proiettata in una nuova sfida di integrazione su più larga scala, ricercando questa volta una propria collocazione nell’unificazione europea e, quindi, nel contesto internazionale sia dell’occidente che dell’oriente. Molti e noti sono i riconoscimenti che da più parti sono stati indirizzati al mondo cattolico, alla Chiesa ed alle figure storiche di maggior spicco, resosi sempre presente nelle movimentazioni di pensiero verso le unificazioni democratiche e spesso pagando alti prezzi anche in termini di vite umane, come il Presidente Napolitano ha ricordato in un suo recente messaggio alla CEI.

Le tre evidenze e ricorrenze storiche forse vanno viste con più attenzione al loro interno, per capire cosa c’è dietro.

L’Italia vive la contraddizione di un processo “spirituale”, ma anche sociale e materiale, di unificazione non ancora completato e di aneliti a separazioni e secessioni, che vanno sotto il nome comune di federalismo, quest’ultimo troppo facilmente giustificato dalla possibilità che i cittadini partecipino più direttamente al governo della cosa pubblica ed ottengano una migliore tutela delle libertà civili in virtù di una democrazia più compiuta. Le proposte di far vivere il Nord di proprie ricchezze, di istituzionalizzare i dialetti regionali, di migliorare la forma di governo attraverso i federalismi a Costituzione invariata (cioè il federalismo fiscale, scolastico, demaniale) oppure attraverso il potenziamento dei governi regionali e la trasformazione da Repubblica unitaria a Repubblica Federale, prenderebbero atto di un’unificazione somministrata a genti per secoli vissute distintamente, e sarebbe invece la prova di un altro e più importante problema che attanaglia l’Italia: la mancanza di una vera cultura dell’integrazione tra gli italiani di sempre e, oggi, tra questi con gli europei e con gli stranieri.

L’unificazione, pur desiderata e conquistata con le vicende che la storia ci ricorda, appare per molti versi una scelta strategica di sopravvivenza, per un popolo che altrimenti non avrebbe avuto una sua valorizzazione in ambiti politici ed economici più vasti. Un po’ come l’Europa, con la quale si ripete la storia della scelta strategica di convivenza per il mutuo aiuto nei casi di bisogno, senza che si possa parlare di vera identità europea, al di là di quella geografica.

Pochi sono disposti a conclamare che l’Italia è unica, repubblicana ed europea; molti sono invece convinti che l’Italia è diversificata al suo interno e che si allea con altri Stati, oggi con quelli europei, domani con gli Stati Uniti d’America, dopodomani con qualche Stato arabo. La politica, la società civile e la Chiesa devono tener conto di ciò che avviene in periferia e, al di là delle dichiarazioni di principio, riflettere su una domanda fondamentale: quanto l’integrazione tra persone e tra Stati è un valore e quanto è una scelta strategica.