Tutti “pontefici”!

di Luigi Sparapano

L’estate che si conclude è stata rovente e non certo per le condizioni meteo. Tanti gli eventi e gli argomenti che hanno infuocato il dibattito e, purtroppo, che vanno approfondendo delle pericolose spaccature tra le persone e tra i corpi sociali, complice il disinvolto e irresponsabile dei social.
Non è questo il luogo per enucleare la cronaca dei fatti, anche perchè è sotto gli occhi di tutti: migrazioni, rigurgiti razzisti, intolleranza, discriminazioni, abusi sessuali ad opera di ecclesiastici, crisi dell’Europa e dell’Italia… E i fatti dell’Occidente hanno messo in secondo o terzo piano le incessanti crisi mediorientali e le migliaia di vittime delle guerre in atto; una per tutte, la Siria. A questi fatti si aggiungono le stragi che hanno straziato nuovamente il nostro cuore: le morti dei lavoratori stranieri negli incidenti stradali in Puglia*, il crollo del ponte di Genova, le vittime del Raganello e, più sotto traccia, le scosse di terremoto in Molise, che tengono gli animi esagitati.
Ebbene proprio la metafora del ponte, ampiamente usata dal 14 agosto in poi, può ben fotografare la stato della situazione. “Il crollo di un ponte che sia fisico o metaforico – ha detto il rappresentante della comunità islamica durante i funerali di Stato a Genova – provoca sempre un gran dolore: due punti che non si toccano più e portano via per sempre le vite di tante persone”. Prima di lui il Card. Bagnasco aveva ampiamente invocato l’anelito di speranza e di unità che soprattutto in questi momenti deve raccordare le menti e i cuori di tutti.
In questi ultimissimi giorni quei punti che non si toccano vanno sempre più allontanandosi in Italia: il punto di chi mette in primo piano la dignità delle persone e il primato dell’accoglienza, pur nell’esigenza di una chiarezza e corresponsabilità dell’Europa, e quello di chi batte i pugni nei confronti dell’Europa non accorgendosi di batterli sulle teste di chi, già martoriato nel proprio paese, giunge sulle nostre sponde in cerca di vita, dopo aver sperimentato quasi la morte (e non la pacchia!).
I punti si allontanano anche in ambito cattolico tra chi, ragionando più con la pancia che con la testa, e tantomeno col cuore, approva comportamenti e dissemina pensieri che nulla hanno di evangelico. Salvo poi osannare don Tonino Bello e Papa Francesco. Anzi no, perchè dagli ultimi sondaggi Papa Francesco perde consensi – se questo può essere un parametro interessante – proprio a causa della sua difesa dell’immigrazione e dell’accoglienza senza se e senza ma.
Ne siamo ben contenti se questo vuol dire essere segno di contraddizione, se la scelta degli ultimi provoca dissenso, se il vangelo mette in crisi il nostro perbenismo.
Papa Francesco, il Pontefice, colui che fa ponti. Ecco allora che quella metafora del ponte torna prepotentemente. L’impegno dello Stato a ricostruire il ponte di Genova, o a trovare altre soluzioni in tempi rapidi per garantire una ripresa di vita più normale, diventa nuovamente immagine di quello che serve al nostro Paese: costruire ponti, umani e sociali, anzi farsi ponte. Tutti “pontefici”!
Parliamo di ponti materiali, che congiungono i quartieri e i paesi e che ci auguriamo siano sottoposti a verifica statica (purtroppo dopo le tragedie) dal momento che, molti di essi a vista d’occhio sembrano pericolosamente malandati. Ma sta a noi alimentare un dialogo e l’impegno ad essere ponti nelle relazioni interpersonali e sociali. Serve ridurre drasticamente il tempo dedicato dietro lo schermo dei nostri device, a sputare talvolta veleno anche nei confronti di persone amiche, e aumentare il tempo da mettere a disposizione per il bene comune, per le persone, per le nostre città, per ricomporre divisioni in una prospettiva di concordia anche quando ci sono punti di vista differenti.
In realtà è proprio questa estate che ci ha fornito notevoli segnali positivi per cui essere pontefici è possibile: l’incontro ecumenico di Bari, il 7 luglio, è stato un abbraccio grandioso che ha cancellato secoli di discordia in casa cristiana e che fa ben sperare per il futuro dei popoli.
I 70mila giovani che hanno camminato in lungo e in largo sui sentieri più nascosti dell’Italia verso sogni che è possibile fare ad occhi aperti e coi piedi per terra: “È bene non fare il male, ma è malo non fare il bene”.
Di questi segnali diamo conto su queste colonne sin da questo primo numero di settembre, e lo faremo in seguito mettendo in luce gli altri, tanti, “pontefici” che si sono adoperati in questi mesi: i pellegrini a Lourdes accanto ai malati, i giovani che hanno deciso di trascorrere le loro vacanze a Betlemme, in case d’accoglienza per bambini “difettati”, volontari recatisi in Albania, gruppi a servizio nelle mense, studenti volontari in Perù… Per non dire di chi sta silenziosamente accanto ai propri cari anziani e ammalati; e, perchè no?, di chi attraverso l’arte contribuisce, come dice il Papa, a far sì che niente sia perduto, e che tutto abbia un senso; di chi si adopera a difesa del creato e dell’ambiente, quello più vicino a noi come quello globale. E che dire della scelta CEI di offrire accoglienza ai profughi della Diciotti per rompere l’empasse istituzionale?
Tutti pontefici possiamo e dobbiamo essere. Dobbiamo esserlo anche noi Chiesa locale, ancora inebriata della gioia della visita papale e dell’anniversario di don Tonino, mentre si va configurando una nuova programmazione pastorale. Le scelte non sono indifferenti, devono essere dettate da una visione realmente e autenticamente evangelica. Serve farsi pontefici tra le parrocchie, tra i gruppi, tra le diverse anime della città.
I ponti si costruiscono insieme.

*frase integrata rispetto alla versione cartacea, omessa per mero errore