Ragazzi soli e adulti distratti

Editoriale n.24 del 16 giugno 2019

Prima pagina n.24 del 26 giugno 2019

«In due mesi ho perso molti chili. Rischiavo la morte solo perchè ero vulnerabile e davo ascolto a tutti coloro che mi giudicavano per il mio aspetto fisico, anche se non sapevano chi fosse la vera me e cosa stessi passando in quel periodo».
Parole desolanti e disarmanti quelle di Lucia (nome di fantasia), una dodicenne che si racconta con lucidità, in un compito scolastico, sbattendo in faccia a noi adulti l’incapacità di guardare, di osservare, di conoscere sino in fondo anche i propri figli. Compito scritto pochi giorni prima dell’ultima tragica notizia di cronaca: la morte di Noa Pothoven.
Lucia non ha subito le violenze di Noa. Almeno non quelle sessuali. Ma nel suo compito rivela la scarsa considerazione che le riservavano i compagni di scuola e gli stessi parenti, come anche quelle naturali crisi adolescenziali che noi adulti consideriamo passeggere, ma che per chi le vive sono drammatiche: «Avevo appena compiuto dodici anni ed era appena iniziato il periodo adolescenziale. A tratti mi sentivo più grande di me: provavo a capire ciò che alla mia età non avrei dovuto capire o pensare. In altri momenti, invece, avevo bisogno di essere la piccolina di casa». Così Lucia trova “soddisfazione” nei tagli: l’autolesionismo. «Una parola che in molti usano, senza saperne il significato».
Gli esperti ci dicono che «I disturbi neuropsichiatrici di bambini e adolescenti sono aumentati del 45% negli ultimi cinque anni, ma solo un terzo dei ragazzi che in Italia manifesta questo tipo di problemi riesce ad essere curato». Del resto sono assolutamente carenti i centri di cura per simili patologie e quasi tutti allocati al nord; il sistema sanitario italiano non annovera la psicoterapia degli adolescenti fra le prestazioni e questo è un problema che poi colpisce le famiglie meno abbienti.
«Aumentando i tagli di giorno in giorno, sapevo di dare un peso maggiore ai miei genitori rispetto a quello che avrei potuto dare sfogandomi con loro. Ad ogni taglio era come se togliessi un peso, mi sentivo libera. É una sensazione strana da spiegare, ma ero sempre più convinta che dovevo soffrire per rendere felice qualcuno, per non “allarmare” i miei genitori».
Già, i genitori. Quelli che fanno di tutto per dare ai figli ogni cosa, “voglio dargli quello che non ho avuto io”; invece Lucia dice il contrario: «Con mio padre non ho mai avuto un rapporto. In quei due mesi non parlavamo minimamente; era come se uno fosse estraneo all’altra. Aspettavo un suo abbraccio, così, all’improvviso. In quei giorni furono quegli abbracci mancati a spingermi a continuare a tagliarmi. Ho scoperto cosa fosse la depressione a 12 anni e non ne vado fiera»
Solo quando la mamma ha capito il motivo del suo isolamento Lucia ha trovato la forza per fermarsi e decidere di smettere di non mangiare e di tagliarsi: «Oggi mi trovo bella allo specchio, anche se per gli altri non è così, vado avanti e rimango fedele alla mia decisione».
A noi adulti – genitori, docenti, sacerdoti ed educatori – il dovere di esserci, con attenzione, con gli occhi rivolti negli occhi. Cosa ormai rara. Ma anche ai giovani la libertà di parlarne. A voi la parola.

Luigi Sparapano

© Luce e Vita