La Puglia è sotto assedio. Non solo il mare in cui si tuffano Polignano e Monopoli, oggetto della più recente autorizzazione ministeriale di “prospezione geosismica finalizzata alla ricerca di petrolio nell’Adriatico” (8 giugno 2015). O quello che in prossimità lambisce Molfetta e Giovinazzo. Bensì un’area molto più vasta. È in atto una strategia economica condotta ad ampio raggio, di tipo neocoloniale. Vampiresca. Consiste nel succhiare petrolio dai fondali marini, dalle Tremiti allo Jonio.
A succhiare sono le multinazionali straniere. Alla Regione Puglia e alle comunità locali, che sistematicamente si oppongono, va un pugno di dollari. A titolo d’incentivo? Di risarcimento? Briciole!
L’abbraccio mortale
Ecco quanto accade. Prima di estrarlo, il petrolio bisogna cercarlo. E il metodo non è indolore. Occorre bombare i fondali, e le forme di vita che questi ospitano, con array di air gun, vale a dire con “batterie di cannoni” che lanciano bolle d’aria compressa capaci di liberare energia sismica all’impatto con materiali solidi, e produrre devastanti impulsi acustici. Una pratica all’inizio stigmatizzata, nella prima stesura del ddl 1345 sugli ecoreati, poi misteriosamente defalcata nella conversione in legge. Perché necessaria a rilevare la struttura e la consistenza dei canali di idrocarburi che attraversano il fondo marino ed evidenziano accumuli di carbonati di età Mesozoica che falde argillose di scorrimento, barriere coralline e sequenze saline hanno sigillato per milioni di anni.
Toccherà poi alle trivelle da affondare nelle “giugulari” del letto marino: più canali di idrocarburi risulteranno stappati, più piattaforme off-shore verranno sistemate in mare e… più brindisi potranno fare i magnati del petrolio! In Puglia festeggeranno non poco, visto che il 70% delle richieste di ricerca finora presentate riguardano proprio i fondali al largo delle nostre coste. Un abbraccio mortale da cui bisognerà sottrarsi.
Una “guerra sporca”
Chiaro e tondo: è in atto una “guerra sporca”, come quella del Golfo. Non meno violenta e anacronistica. Riguarda la Penisola, dall’Alto Adriatico al Golfo di Taranto.
È “sporca” perché sotterranea, nascosta, non visibile ai più. Occulta, affaristica.
È “sporca” perché, per attingere il petrolio, bisogna prima colpire senza scrupolo la roccia madre che lo intrappola, e con essa la flora e la fauna acquatica, le uova e gli embrioni che in essa hanno il nido e la culla; anche il mastodontico capodoglio e il grampo, disorientati, tenderanno a emergere con rapidità: forse spiaggeranno e moriranno per embolia, come accaduto sulle coste abruzzesi in circostanze analoghe. Uno scempio inenarrabile!
È “sporca” perché l’esperienza consolidata attesta che, nonostante l’applicazione di tecnologie avanzate in fase estrattiva, la dispersione di petrolio è frequente e consistente. Parte dell’“oro nero” trivellato, fuoriesce e si sedimenta sui fondali, deturpandoli. Un po’ alla volta aggredisce le coste, sporcandole. Per non dire degli incidenti sempre possibili: se rilevanti, procurano danni ambientali immani, come quello verificatosi il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico. La piattaforma Deepwater Horizon, ritenuta ipersicura, è andata in fiamme: molte le torce umane, milioni di barili di petrolio versati in mare.
E se accadesse da noi? In breve andrebbe compromesso quanto il creatore ha elargito e l’uomo ha custodito per un tempo indefinibile.
È “sporca”, infine, perché poggia su una legge ingiusta, il decreto Sblocca Italia, che espropria le popolazioni regionali della facoltà di autodeterminarsi in materia ambientale, soffocando vocazioni territoriali e strategie di sviluppo autoctone.
Ecco che il nodo è di civiltà, giuridica intanto, e attinge alla qualità della democrazia e della vita sociale configurate nella carta costituzionale. Ciò spiega perché, contro le licenze di ricerca e di estrazione firmate dal Ministero dello Sviluppo e dell’Ambiente, bisognerà resistere presso il Tar del Lazio, e sollevare questione di legittimità costituzionale sulla sottrazione di competenze alle autonomie locali da parte del governo centrale, e concertare in sede comunitaria una direttiva sul divieto delle pratiche di sfruttamento intensivo del mare.
Dal nucleare al petrolio: se non è zuppa è pan bagnato
Le fonti energetiche rinnovabili, eoliche e fotovoltaiche, di cui la Puglia dispone, la rendono autosufficiente. Hanno contribuito a fugare l’insidia dei rigassificatori e del nucleare.
Non è un mistero che il governo Berlusconi desiderasse insediare in Puglia una centrale nucleare ad Avetrana, e collocare il deposito nazionale finale di scorie radioattive al confine con la Basilicata. Lo avrebbe fatto, se il popolo sovrano non si fosse espresso in senso contrario con un referendum. L’insuccesso della sciagurata operazione ha permesso di non deturpare la bellezza naturalistica e paesaggistica della Puglia, evitandone la marginalità; di non deprezzare i doni ambientali di cui è dotata; di non compromettere la filiera produttiva che, partendo dalla terra e dal mare, e passando per la gastronomia, la rendono, oggi, meta ricercata dai turisti che le conferiscono ricchezza.
Il governo Monti con il decreto Sviluppo Italia, e il governo Renzi con lo Sblocca Italia, stanno riprovando a degradarla: con il petrolio, sostanza inquinante e svalutata alla borsa valori delle fonti energetiche. Pur sempre un affare, però, per le multinazionali, che sembrano essersi divise l’Adriatico in aree d’influenza. La Rockopper Exploration e la Spectrum Geo a ridosso delle coste abruzzesi e molisane, mentre altre società si sono abbarbicate come un paguro alle coste pugliesi: a nord la Petroceltic Elsa; al centro la Northern Petroleum e la Transunion Petroleum; a sud e nello Jonio la Global Med e la Schlumberger. Ciascuna fattura miliardi di dollari l’anno: potentati che non si fermano di fronte a nessun ostacolo.
Come andrà a finire?
La Puglia terrona, “scarpe grosse e cervello fino”, per il momento dimostra di non stare a guardare, e anche di non stare al gioco. Non svende l’identità e il proprio futuro per un pugno di dollari. Anche perché le royalties, cioè i “diritti”… sul creato (sic!) che i petrolieri sono disposti a corrispondere, non competerebbero certamente alla Puglia ma… all’Autore delle acque e dell’arcobaleno, che non accetta. La vita non ha prezzo. La bellezza non ha prezzo.
E la Chiesa? I vescovi abruzzesi e molisani, che versano in circostanze analoghe alle nostre, hanno manifestato l’auspicio di una “biociviltà che preferisca la vita al lucro”, e dichiarato che la “salvaguardia dell’ambiente deve essere al centro di una politica che sia perseguimento del bene comune e rifugga da interessi particolari ed egoistici”. Invocano, a chiare lettere, “il rispetto dell’ambiente e le energie rinnovabili”.
E i vescovi pugliesi? Quando si pronunceranno?
Nell’enciclica Laudato si’, Papa Francesco invoca una nuova coscienza ecologica, che chiama integrale, contro ogni avidità economica (204). Ricorda che “lo sfruttamento sconsiderato della natura ha già superato certi limiti massimi” (4, 27). Auspica il prevalere della sensibilità umana sulla volontà irrispettosa e onnivora del denaro: «Quando non s’impara a fermarsi per ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e di abuso senza scrupoli» (215).
Al largo di Polignano e di Monopoli, come di Otranto e di Leuca, e dovunque vi siano persone di buona volontà, si salvaguardi il creato difendendo la bellezza con la forza dello spirito e senso di giustizia, con l’impegno sociale e ambientale. Con la responsabilità umana e civile. La parola “futuro” orienti sempre la bussola.
La Puglia sotto assedio delle trivellazioni. Per un pugno di dollari
di Renato Brucoli
