fra’ Michele e don Ignazio: su strade diverse per (far) incontrare Cristo e l’uomo

Intervista a cura di Luigi Sparapano

L’ordinazione sacerdotale, punto di arrivo e di partenza. Arrivo da dove?
(Ignazio) Spero non sia scontato affermare che la mia vocazione ha il suo inizio con il battesimo e con il percorso di iniziazione cristiana che ho vissuto presso la parrocchia S. Teresa, sotto la guida dell’indimenticabile don Gennaro. Qui ho scoperto una comunità attenta alla formazione dei giovani, che mi ha insegnato il servizio ai piccoli dell’ACR, come educatore. Nella mia famiglia ho avuto un’educazione centrata sull’amore per Cristo e per la Chiesa: mia madre, assieme a mia nonna, mi ha insegnato le prime preghiere e non ha mai mancato di accompagnarmi in parrocchia per stare con me a Messa. 
Anche mio padre mi ha sempre testimoniato una fede genuina, senza fronzoli e inutili esteriorità. Già in età adolescenziale e giovanile sentivo dentro di me che la vita che conducevo, seppur molto simile a quella dei miei coetanei (fatta di uscite con gli amici, locali, piccole storie d’amore), non mi soddisfava pienamente, mi faceva sentire vuoto. Anzi, con il termine della scuola superiore, la scelta universitaria mi sembrava pesare troppo: sentivo che il Signore mi chiamava ad altro, sicuramente diverso da ciò che stavo facendo, nonostante frequentassi comunque la comunità della Cattedrale, laddove avevo, e continuo ad avere, le mie amicizie. Quindi assieme all’allora rettore del Seminario Minore, don Pietro Rubini, e con il parroco, don Vito Bufi, ho iniziato a fare un percorso di discernimento che mi ha portato, nel 2007, con il consenso e la paterna guida del nostro Vescovo, a vivere l’anno propedeutico, concludendo, contemporaneamente, gli studi universitari.
(Michele) Prima di essere frate ero impegnato in parrocchia, fidanzato, frequentavo l’università, con una bella famiglia accanto e con buone prospettive per il futuro. Il diabete, all’età di 20 anni, ha fatto crollare il castello di carta che mi stavo costruendo: una vita come la volevano gli altri, ma non mia. 
Frequentando i corsi che si tengono ad Assisi, ho incontrato veramente Gesù, ho provato il suo perdono e la sua vicinanza nella sofferenza. Lui ha guarito la mia relazione con i miei, ha fatto nuovo il fidanzamento che vivevo. Ma nel settembre 2005 il desiderio di amare è cresciuto in una modalità che non era più quella del matrimonio. Ho capito che la volontà di Dio era il mio stesso desiderio più profondo. Così, attraverso la guida di un frate di Assisi e la presenza discreta di don Giuseppe Pischetti (allora mio parroco), sono giunto alla conferma che il Signore da sempre mi chiamava a essere tutto suo, come frate minore. Ma “le grazie del signore non sono finite!” (Lam 3,22), così, attraverso un’esperienza estiva, in una comunità di recupero per tossicodipendenti a Mondo X – Sardegna, il Signore mi ha iniziato a parlare di un’altra chiamata, quella al sacerdozio. Confermato dalla Parola di Dio, dalle persone (la Chiesa!) che in vari modi riconoscevano in me un presbitero, e confermato dai miei frati, sono stato ammesso al Diaconato, e ora, all’Ordinazione Presbiterale.

Punto di partenza, verso dove?
(Ignazio) Non sono abituato molto a fare progetti, perché dinanzi ai disegni, a volte oscuri e imprevedibili di Dio, quelli umani non trovano molto spazio. Spesso, quando mi sono trovato in difficoltà, mi sono rivolto al Signore dicendo, in maniera confidenziale: “Tu, Signore, mi hai scelto e, prendendotene le responsabilità, stammi accanto e non farmi cadere”. Ciò lo dico perché credo che il prete, nel costruire progetti, non possa e non debba fare a meno di pensare che essi non sono solo frutto delle proprie intelligenze o capacità, ma segni del grande disegno che ha Dio per noi. L’unico progetto di vita che mi prefiggo è cercare di essere un pastore secondo il cuore di Cristo, aperto al dialogo e alla comunione con tutti; segno di una Chiesa aperta alle necessità di ciascun uomo, in particolare dei più bisognosi.
(Michele) Di recente chiedevo a Gesù proprio di indicarmi la missione che mi affida come presbitero. E lui, fedele, ha risposto chiamandomi a: essere Profeta, che vive alla Presenza di Dio, sempre in ascolto della Parola. Io, come frate presbitero, potrò dire qualcosa solo a partire dal Vangelo. È la vera medicina che può dare vita, che può mettere nei cuori la nostalgia del Padre, della Verità; essere Sacerdote, cioè offrire la disponibilità della meraviglia a essere spettatore delle inesauribili grazie di Dio; essere Re Pastore, cioè pascere il suo gregge con il suo zelo. Lo “zelo del Signore” è la passione tenera per l’uomo smarrito, alla ricerca di senso, è il Signore che si vendica consolando (Cfr Is 61), trasformando un nemico in un amico, fino a morire al posto suo. Credetemi… qui serve tanta grazia!

Sacerdote secolare e regolare: due modalità differenti accomunate dalla stessa ordinazione, ma chi è chiamato ad essere oggi il prete?
(Ignazio) In questi ultimi anni, soprattutto con il pontificato di Papa Francesco, il pontefice ci sta ricordando che un prete non é tale se non é innamorato profondamente di Cristo, se non vive un bella intimità con Lui! Perciò oggi un prete é prima di tutto un uomo, con le sue capacità, ma anche con i suoi difetti e incompetenze, che deve avere fisso nel suo cuore l’essenziale, ovvero l’essenza della sua vita: Gesù. Inoltre, oggi il prete é chiamato non ad essere un funzionario o un burocrate del sacro, tantomeno a rinchiudersi nel suo ufficio o sagrestia, ma deve essere pronto a vivere e ad uscire in mezzo al popolo di Dio cui é inviato. Le sfide a cui é chiamato oggi sono tante (aumento della soglia di povertà, tante situazioni familiari complicate ed irregolari) e purtroppo, alcune volte, nell’indifferenza del mondo sociale e politico; ad esse può far fronte solo se é pronto all’ascolto e all’accoglienza delle necessità dell’altro.
(Michele) Credo che il sacerdozio mi venga donato innanzitutto per la mia conversione, per crescere nell’amore fino alla santità (Stessa cosa è il matrimonio per gli sposi). Allora chiedo a Dio la gioia di vivere non più per me stesso, ma per il Vangelo.
C’è una certa impressione in giro, nei confronti di giovani preti, di una vita abbastanza tranquilla, qualche volta quasi “impiegatizia”, benestante, lontana da uno stile di umiltà, e perchè no, di povertà di fatto. A quale modello vi ispirerete?
(Ignazio) Purtroppo i giovani preti (ma i preti in generale!) non danno sempre un’ottima testimonianza del loro ministero e della vita evangelica che dovrebbero condurre. Senza però permettersi di giudicare, ognuno di noi, e in primis io stesso, deve impegnarsi a dare una contro testimonianza, sforzandosi di far fuoriuscire una Chiesa che a volte è in ombra, fatta di sacerdoti giovani che rimangono in piedi fino a tarda sera per preparare le attività parrocchiali o ascoltare le necessità della gente, che non conoscono cosa significano gli “orari di ufficio” e che vivono una vita dignitosa, senza scadere nei borghesismi. Sicuramente il modello di prete da cui prendere spunto é quello che ci sta delineando e testimoniando Papa Francesco, ma che, possiamo dire con orgoglio, aveva già inaugurato il nostro don Tonino Bello.
(Michele) Vorrei rivolgermi ai giovani e alle persone ferite dall’incoerenza che vedono in noi sacerdoti: attenti a non cercare nei sacerdoti uno stile povero, che magari sa di apparenza e di ideologia, ma preoccupatevi piuttosto che il loro cuore sia centrato in Cristo, che si preoccupino di conoscere nuovi percorsi per annunciare il vangelo in modo esistenziale, piuttosto che ricalcare il “si è sempre fatto così” (cfr papa Francesco). Da questo cuore povero, bruciato dalla Parola, scaturirà anche la povertà di fatto.

Non è infrequente una certa deriva spiritualistica, che alimenta nei laici una religiosità rassicurante, quasi disincarnata, fatta di devozioni e ritualismi con pochi o scarsi legami con la vita sociale. Quale ruolo può avere un religioso, un prete, per evitare questo rischio?
(Ignazio) Credo che le devozioni popolari siano un elemento caratterizzante del tessuto sociale della nostra Chiesa locale, tanto da rendere, per molto tempo, la fede della nostra gente salda e viva. Perciò il prete oggi non può permettersi il lusso di abolire tutto, rischiando di scandalizzare la fede genuina di tante persone, né lasciare che tutto vada come se si ritrovasse nei secoli passati. Il ruolo del sacerdote é quello di catechizzare tutte le devozioni, facendo sì che non rimangano fine a se stesse, ma vadano oltre, maturino in una fede che ha in Cristo il centro e che sia inserita in una comunità viva e partecipe.
(Michele) Credo che il religioso sia chiamato a essere Testimone dell’opera concreta di Dio nella propria vita. Un percorso di fede che non tocchi l’amore a se, la relazione con il proprio corpo, con la propria storia, le relazioni affettive, non è veramente cristiano! Nella mia vita Dio Padre non è venuto a comunicarmi idee, un “dover essere”, una dottrina, ma è venuto a portare gioia, perdono, una semplificazione del cuore, unità, stima in me stesso, in fatti molto concreti. Allora un religioso è chiamato ad annunciare la Parola in modo molto concreto ed esistenziale. Credo che alcune derive spiritualistiche siano anche il frutto di omelie disincarnate.

Diventate sacerdoti alla vigilia dell’Anno santo della Misericordia: come pensate di essere “sacerdoti” misericordiosi?
(Ignazio) Il sacerdote é misericordioso solo se ha sperimentato per primo la Misericordia e se ha toccato con mano quanto l’amore di Dio lo sospinge, come afferma S. Paolo, ovvero lo fa rialzare dalle situazioni di peccato. Questo Anno Santo straordinario sicuramente mi porterà a riflettere sul valore dell’altro e sulla sua importanza, nonostante il peccato. Sapere che il Signore condanna la colpa, ma mai il peccatore, ci deve inevitabilmente spronare a mettere da parte ogni facile giudizio e pettegolezzo, per tutelare l’altissimo valore della persona. Inoltre essere sacerdoti misericordiosi significa riscoprire e far riscoprire sempre di più la bellezza del sacramento della Riconciliazione, dono d’amore di Dio per noi peccatori.
(Michele) Essere sacerdoti misericordiosi credo che non si possa improvvisare, né tanto meno si possa pensare ad un atteggiamento che ci si impone. Per essere misericordioso sono chiamato continuamente a far memoria di come Dio, Padre delle misericordie, ha trattato e tratta le mie miserie. Chi non ha fatto l’esperienza di conoscersi davvero, fin nel proprio peccato, e di come Dio guardi con infinita tenerezza quello che siamo, il nostro cuore pentito, non potrà mai essere misericordioso e non potrà mai dire di aver conosciuto Gesù Cristo e il Padre e la consolazione dello Spirito Santo. Credo proprio che per essere misericordioso non dovrò dimenticarmi di far spesso visita al confessionale come penitente!

Ezia Mezzina e Mino Gadaleta,  genitori di Ignazio:
«Mai avremmo immaginato che il nostro unico figlio sarebbe diventato un giorno sacerdote. Come genitori avevamo pensato che la sua vita avrebbe avuto un percorso diverso. Lo immaginavamo un “avvocato”, un “giudice”, ma la mano del Signore ha stravolto i nostri desideri lasciandoci all’inizio perplessi e impreparati. Col tempo, la sua serenità e la sua gioia nell’affrontare la strada intrapresa, ci ha fatto capire che la  scelta era quella giusta. Oggi, alla vigila della sua ordinazione, è bello sapere che Dio abbia scelto proprio Ignazio per essere suo strumento d’amore. In questo momento, da lui tanto desiserato, gli auguriamo che il Signore illumini il suo cammino e che possa essere sempre un sano esempio di vita cristiana al servizio degli altri.»

Filomena Ruta e Domenico Berardi, genitori di fra' Michele:
«Quante volte il Signore ha bussato alla nostra porta? Sicuramente tante e noi, distratti, non abbiamo sentito; ma Egli ha continuato così forte da farsi sentire inequivocabilmente dal nostro figlio più piccolo, oggi fra’ Michele Berardi, un giovane che, uscendo dagli schemi di una società assopita, ha risposto ad una santa chiamata con un forte “Eccomi!”. Evento straordinario che interessa la comunità ruvese e diocesana. 
Molti si chiedono: come la famiglia viva questo momento di grazia? E i genitori, in particolare, come prendono la cosa?
La nostra famiglia è stata benedetta per la grande gioia e grazia ricevuta.
Ricolmi di questa grande benedizione sentiamo l’obbligo di testimoniare di non aver fatto nulla in particolare ma, nella gioia, di aver offerto al Signore ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto.»

© Luce e Vita 2015