Dopo tre giorni (di carcere) risuscitò

a cura di Luigi Sparapano

La redazione di Luce e Vita Ragazzi aveva deciso di chiedere a un ragazzo o un giovane detenuto cosa pensasse del valore della libertà, dal momento che l’intero numero (pubblicato domenica 13 marzo scorso) era ispirato a quella parola chiave. Complice la medazione di alcuni amici, che ringraziamo, incontriamo Antonio (nome di circostanza) che risponde a molte più domande di quelle realmente poste. 
Ventuno anni a maggio, residente in un paese della Diocesi, si è diplomato, con un solo anno di ritardo, con alti voti e adesso lavora, dopo aver trascorso diversi anni della sua adolescenza tra spaccio e piccoli furti che lo stavano instradando verso una delinquenza molto pesante.
«Sono stato solo tre giorni in carcere, a 17 anni, e tre mesi agli arresti domiciliari, e posso dire senza dubbio che la libertà è vita, è tutto. Avendo delle restrizioni, degli obblighi da rispettare fuori dalla vita normale, essere guardato e sorvegliato a vista, è qualcosa che ti toglie l’aria, ti blocca il respiro e la vita stessa». 
Tutto era cominciato da bambino, dalla sua situazione familiare disagiata, i genitori separati, la rabbia che portava dentro, unita ad alcune amicizie sbagliate, e da 15 anni Antonio si era ritrovato a vivere una vita disordinata, fino ad avere contatti con la mafia locale. Lo spaccio era diventato un lavoro, molto ben retribuito, infatti arrivava a guadagnare fino a 10.000 euro in tre mesi, anche se non aveva possibilità di spenderli perchè avrebbe subito suscitato sospetto.
«Ho visto situazioni e conosciuto persone che non immaginavo, ho visto tutto il male possibile, anche se la mia famiglia, pur se in situazione critica, mi ha sempre incoraggiato ad essere onesto, a studiare, a fare il mio dovere e realizzarmi». Questa bolla di apparente benessere si infranse quando Antonio fu arrestato, a 17 anni, proprio nel giorno dell’anniversario di fidanzamento con la sua ragazza. La sua voce si incrina al ricordo di quel giorno: «É stato bruttissimo! É un ricordo da cancellare. I Carabinieri a casa, con i cani che giravano tra le camere, il cellulare della mia ragazza che squillava…». Poi il carcere “Fornelli”, a Bari, la perquisizione, i piegamenti, l’isolamento in una stanza, nessuna visita. «Non si fidavano di me, di un ragazzo, ero uno come gli altri. Tre giorni solo, in cella, sono sembrati tre secoli. Leggevo sui muri le scritte disperate lasciate da altri detenuti, scritte con la cenere, che parlavano di madri, di amori, di sentimenti infranti. Rumori, urla, pane senza mollica, niente accendino…Ero deluso di me stesso, in uno stato confusionale, non vedevo alcuna luce, se non il pensiero della mia ragazza. É stato bruttissimo!»
Gli chiedo di interrompere il dialogo, ma Antonio vuole continuare perchè vuole far sapere che la sua forza di volontà lo ha aiutato a vincere, a uscire dalla sua tomba dove molti volevano relegarlo. Infatti appena uscito dal carcere, fu avvicinato per avere rassicurazioni e disponibilità di soldi per tutti i tre mesi degli arresti domiciliari. Ma proprio in quel momento egli ebbe la forza di dire basta, grazie anche al cuore grande della sua fidanzata che non lo aveva abbondonato e aveva condiviso i tre mesi di arresto. Quella non poteva essere la sua vita. Così un anno di messa in prova, gli incontri al SerT con la psicologa, il volontariato alla Caritas, niente cellulare, continuo pedinamento dei Carabinieri, marchio portato addosso, sguardi accusatori, la ripresa della scuola, l’affetto della ragazza e dei nonni… furono un’esperienza dura, ma che lo resero forte. «Ho riversato la mia attenzione su mio fratello, otto anni più piccolo, per il quale mi sentivo come un padre. Anche l’esperienza in Caritas, grazie al confronto con ragazzi della mia età, mi ha cambiato, restituendomi i miei anni».
Antonio ha concluso gli studi superiori, diplomandosi nell’indirizzo economico aziendale, contemporaneamente ha lavorato per avere autonomia economica, si è pagato la festa per i diciotto anni e si è comprato da poco l’automobile. Anche nella sua città ora si sente riconosciuto e apprezzato per il cambiamento che manifesta. «Mi piace sentirmi offrire il caffe».
Quale progetto futuro? «A settembre mi iscrivo all’Università, Economia e Commercio. Il mio attuale lavoro mi appaga, sono anche molto richiesto fuori città per la mia competenza, ma ho voglia di provare e di dare una ulteriore svolta. Non avendo avuto due genitori alle spalle ho sempre dovuto provare per capire, anche sbagliare. Così adesso voglio provare l’Università. Mi manca lo studio, sento di voler raggiungere un livello superiore di cultura». 
Cosa senti di dire a ragazzi? «Di studiare, anzitutto, perché lo studio ti apre la mente e ti fa vedere la realtà delle cose, riconoscendo subito ciò che è sbagliato. Poi anche di non voler per forza provare ogni cosa che ci sembra attraente, come fumare, sballarsi, farsi canne… perché solo provare significa entrare nel giro, aver bisogno di tanti soldi, dover mantenere un tenore di vita insostenibile che ti spinge a trasgredire. Io sono stato fortunato a saper uscirne, ma tanti altri che vedo, vanno sempre più giù». 
Ma Antonio ha anche consigli da dare ai genitori, ai quali attribuisce gran parte delle responsabilità di devianza dei figli: «Se i ragazzi stanno fuori di casa già nel primo pomeriggio, chi si chiede cosa fanno, dove vanno, chi incontrano? Occorre attenzione e controllo».
«Fare lo stupido, vivere al negativo è facile, vivere seriamente e sacrificarsi quello è il difficile, ma lì si vede la persona. Forza, volontà, coraggio nel cercare le cose belle. Si può sempre cambiare!»
Se non è questa una bella storia di risurrezione possibile…
Complimenti, Antonio, e grazie!

(Pubblicata su Luce e Vita n.14 del 3 aprile 2016)