Non ci convince per niente la logica della cannabis di Stato

di Maurizio Calipari (Sir)

Un rapido passaggio in Aula, alla Camera, e poi il più che prevedibile rimando della discussione a settembre, con un ritorno in Commissione per esaminare una pioggia di quasi 2000 emendamenti presentati. Questa, pochi giorni fa, la “novità” dell'iter parlamentare del ddl 3235, intitolato “Disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati”.
La tesi dei proponenti il disegno di legge è nota: in estrema sintesi, la legalizzazione della cannabis avrebbe il presunto vantaggio di “mettere regole certe e controllate” all'attuale far west che contraddistingue la coltivazione, lo spaccio e il consumo di questa sostanza, sottraendoli così alla gestione criminale delle narcomafie, con un mercato illegale che, in Italia, è stimato tra i 15 e i 30 miliardi di euro l'anno. Qualcuno si spinge oltre, preconizzando addirittura per questa via una possibile diminuzione dell'uso di questa droga.Chi invece avversa questa proposta, lo fa in due direzioni: c'è chi vorrebbe spingersi oltre la legalizzazione, fino alla piena liberalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” (che però, per la scienza medica e per molti operatori, non esistono, poiché comunque dannose per la salute e la società, al pari delle cosiddette “pesanti”); c'è chi crede che la legalizzazione non sia la strada giusta per ridurre i vari problemi connessi all'uso di questa sostanza, dal momento che, oltre a generare un probabile “mercato nero” (con prezzi competitivi rispetto allo Stato), ancora gestito dalla criminalità organizzata, finirebbe per promuovere, indirettamente, tra la gente anche una sorta di pacifica accettazione sociale e culturale dell'uso degli stupefacenti, con conseguenze nefaste soprattutto sulle giovani generazioni.
Chi ha ragione? Circa gli effetti “tecnici” sul contrasto all'illegalità attuale, lasciamo agli operatori competenti (nei diversi settori d'azione) un giudizio ragionato sulla reale incidenza possibile dell'eventuale legalizzazione della cannabis sul fenomeno di mercato.
Sul versante culturale, ci convince maggiormente la tesi che l'emanazione di una legge che norma la produzione, la cessione e l'uso di una droga a fini “stupefacenti”, possa finire per produrre una “normalizzazione” culturale di questa pessima usanza.
Certo – fanno notare molti dei favorevoli al ddl –, da questo ulteriore monopolio lo Stato guadagnerebbe un bel po' di denaro, sia per la riduzione dei costi legati alla repressione penale del fenomeno, sia per il riassorbimento di buona parte dei profitti criminali del mercato nero, sia per l'introito del consistente gettito fiscale derivante, considerando che, con una regolamentazione analoga a quella dei tabacchi (e così prevista dal ddl 3235), circa i tre quarti del prezzo di vendita dei prodotti sarebbero costituiti da componenti di natura fiscale. E poi – come prefigurato nella relazione di presentazione del ddl all'Aula – “parte di queste risorse potrebbero essere destinate a interventi di natura preventiva e riabilitativa rivolti ai consumatori di droghe e ai tossicodipendenti, ma la parte più consistente potrebbe finanziare altri capitoli del bilancio pubblico”. Insomma, un bell'affare, in tempi di ristrettezze finanziarie!
Si, ma… c'è qualcosa che non torna. A ben guardare, infatti, la logica che regge questo ragionamento appare oggettivamente contradditoria. Perché più aumenta il consumo “legale” di cannabis (e dei suoi derivati), più si rimpinguano le casse dello Stato. Ma allora, per cosa deve adoperarsi lo Stato? Per far cessare il fenomeno della droga che distrugge tante vite e tante famiglie, o perché questa nuova fonte di introito legale si incrementi e duri il più a lungo possibile?
E anche l'idea di usare gli introiti della vendita della cannabis per recuperare i consumatori di droghe soffre della stessa contraddizione di fondo: per aumentare i mezzi utili alla causa, bisogna “sperare” che vi siano più consumatori “legali”! Ma come, l'assunzione di stupefacenti non è una delle piaghe che la nostra società dovrebbe contrastare e tentare di sconfiggere unita? O vale anche qui il prevalere della “ragion di Stato”? Del resto, non si è forse seguita (e si continua senza problemi) la stessa logica con il consumo di alcool e di fumo, anch'essi “esclusiva”