Otto colpi… otto schiaffi alle tante, troppe coscienze, anche e soprattutto di noi credenti, addormentate e drogate dalla logica dell’apparenza, dal servilismo interessato, dalla supremazia del proprio io, dall’indifferenza. Otto schiaffi alla nostra coscienza!
Otto schiaffi all’appagamento personale, alla quiete dell’anima di quanti ritengono che basta fare il proprio dovere e vivere nel rassicurante recinto “casa – lavoro – chiesa”, perché le periferie in cui si sacrificano la dignità dell’uomo e le tante povertà di questo nostro tempo non ci appartengono. Otto colpi, il rumore dei commenti dei primi giorni, un po’ di turbamento, poi il silenzio.
Ci piace pensare che sia il silenzio della riflessione sui tantissimi ragazzi, sui tanti, donne e uomini, che abitano le terre di nessuno delle nostre città e vivono il sonno della ragione di questa società. Un’umanità che il nostro falso perbenismo ha deciso di confinare in quella sempre più vasta area di disagio, delusione, solitudine in cui, invece, la criminalità, le mafie trovano terreno fertile, arruolano ragazzi, i nostri ragazzi, e impongono il proprio potere, le proprie regole. Abbiamo scelto di sposare la cultura dell’individualismo, del materialismo, della competizione ad ogni costo che premia il più forte, il più arrogante, il più potente, il più furbo, scartando e abbandonando tutti gli altri. Siamo tutti colpevoli.
Lo Stato, per la sua frequente assenza, per la sua impotenza dovuta a proprie carenze e all’omertà dei tanti. Le istituzioni, non sempre alleate, spesso fra loro in contraddizione. Le forze dell’ordine spesso sfiduciate e rassegnate, che rinunciano a contrastare con fermezza la criminalità per affermare la legalità. I politici, nazionali e locali, quando dai posti di comando, abbandonando il loro ruolo di servitori, testimoniano invece l’arroganza del potere, saltano velocemente e spudoratamente sul carro del vincitore, ignorano i valori etici e morali, calpestano la democrazia, raggirano e deridono la legalità. Noi, che troppo spesso ci indigniamo ma poi decidiamo di “voltarci dall’altra parte”, o scegliamo “il male minore” senza accorgerci che ormai la distanza con il male maggiore è stata colmata. Tutti noi, i presunti onesti, a maggior ragione se credenti, non possiamo scegliere di non scegliere, non possiamo “lavarci le mani”. Abbiamo l’obbligo di sporcarcele, il dovere di uscire dalle nostre rassicuranti certezze, dal fatuo ma facile e comodo tepore dei nostri spazi per abitare quelle terre di nessuno, per illuminare quel buio, per stare tra gli scarti, i diversi, gli scomodi, i difficili, i discriminati … per farci vicini a loro, farcene carico.
Nel Vangelo è scritto che il Signore si incarna nella sofferenza e nelle debolezze dell’uomo. Un Profeta dei nostri giorni ci ha anche indicato la via per raggiungere la salvezza: “Insieme, alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi”. E che di fronte alla morte di Massimo, il ladro, scriveva “…ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane ma che non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te” (Don Tonino Bello, Lettera a Massimo, ladro zingaro ammazzato).
Otto schiaffi all’appagamento personale, alla quiete dell’anima di quanti ritengono che basta fare il proprio dovere e vivere nel rassicurante recinto “casa – lavoro – chiesa”, perché le periferie in cui si sacrificano la dignità dell’uomo e le tante povertà di questo nostro tempo non ci appartengono. Otto colpi, il rumore dei commenti dei primi giorni, un po’ di turbamento, poi il silenzio.
Ci piace pensare che sia il silenzio della riflessione sui tantissimi ragazzi, sui tanti, donne e uomini, che abitano le terre di nessuno delle nostre città e vivono il sonno della ragione di questa società. Un’umanità che il nostro falso perbenismo ha deciso di confinare in quella sempre più vasta area di disagio, delusione, solitudine in cui, invece, la criminalità, le mafie trovano terreno fertile, arruolano ragazzi, i nostri ragazzi, e impongono il proprio potere, le proprie regole. Abbiamo scelto di sposare la cultura dell’individualismo, del materialismo, della competizione ad ogni costo che premia il più forte, il più arrogante, il più potente, il più furbo, scartando e abbandonando tutti gli altri. Siamo tutti colpevoli.
Lo Stato, per la sua frequente assenza, per la sua impotenza dovuta a proprie carenze e all’omertà dei tanti. Le istituzioni, non sempre alleate, spesso fra loro in contraddizione. Le forze dell’ordine spesso sfiduciate e rassegnate, che rinunciano a contrastare con fermezza la criminalità per affermare la legalità. I politici, nazionali e locali, quando dai posti di comando, abbandonando il loro ruolo di servitori, testimoniano invece l’arroganza del potere, saltano velocemente e spudoratamente sul carro del vincitore, ignorano i valori etici e morali, calpestano la democrazia, raggirano e deridono la legalità. Noi, che troppo spesso ci indigniamo ma poi decidiamo di “voltarci dall’altra parte”, o scegliamo “il male minore” senza accorgerci che ormai la distanza con il male maggiore è stata colmata. Tutti noi, i presunti onesti, a maggior ragione se credenti, non possiamo scegliere di non scegliere, non possiamo “lavarci le mani”. Abbiamo l’obbligo di sporcarcele, il dovere di uscire dalle nostre rassicuranti certezze, dal fatuo ma facile e comodo tepore dei nostri spazi per abitare quelle terre di nessuno, per illuminare quel buio, per stare tra gli scarti, i diversi, gli scomodi, i difficili, i discriminati … per farci vicini a loro, farcene carico.
Nel Vangelo è scritto che il Signore si incarna nella sofferenza e nelle debolezze dell’uomo. Un Profeta dei nostri giorni ci ha anche indicato la via per raggiungere la salvezza: “Insieme, alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi”. E che di fronte alla morte di Massimo, il ladro, scriveva “…ti avevano ingiustamente ucciso le nostre comunità cristiane. Che, sì, sono venute a cercarti, ma non ti hanno saputo inseguire. Che ti hanno offerto del pane ma che non ti hanno dato accoglienza. Che organizzano soccorsi, ma senza amare abbastanza. Che portano pacchi, ma non cingono di tenerezza gli infelici come te” (Don Tonino Bello, Lettera a Massimo, ladro zingaro ammazzato).
E allora, buon cammino a tutti, sul passo degli ultimi.
Osservatorio per la Legalità e per la difesa del Bene Comune