Persone nuove in Cristo Gesù

Mons. Luigi Martella

Persone nuove in Cristo Gesù.

Corresponsabili nella gioia di vivere

 

 

Il tema che è stato proposto per questa Assemblea non poteva essere più suggestivo, ma anche più impegnativo. Un tema che mi richiama immediatamente quello proposto per il prossimo Convegno della CEI a Firenze nel 2015, In Gesù Cristo il nuovo umanesimo.

Il tema, a mio parere, potrebbe essere ulteriormente esplicitato, sotto forma di domanda. E cioè: Cosa vuol dire essere cristiani in modo adeguato ai nostri tempi? E, nello specifico, cosa vuol dire essere associati in Azione Cattolica? Come si vede, sono domande sull’identità del cristiano, sull’identità dell’aderente all’Aziona Cattolica, ma anche sul mondo contemporaneo. È necessario capire i tempi in cui si vive o ‘ come si diceva in linguaggio conciliare – «discernere i segni dei tempi». Ma, ritorniamo al titolo per una breve analisi semantica.

Missione della Chiesa nel mondo. Se guardiamo bene al passato, ad ogni tornante della storia, la Chiesa si è posta sempre la domanda: Qual è il mio posto nel mondo? Qual è il mio compito? Perché ci sono? Qual è il mio rapporto con la realtà? La risposta più appropriata è stata non quella di un’autorefenzialità, cioè quando ha proposto e difeso se stessa, i suoi privilegi e le sue conquiste umane, ma quando si è proposta come portatrice di un qualcosa che la superava; dunque, non quando ha difeso la sua dottrina, ma quando si è fatta serva del Vangelo nella sua purezza. Questo atteggiamento trova una formulazione teorica efficace nelle parole illuminate di Benedetto XVI, proprio all’inizio della sua prima enciclica, la Deus caritas est, allorché il pontefice afferma: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Papa Ratzinger parla di incontro con una Persona. Un concetto che è diventato un punto qualificante del magistero di Papa Francesco, quando promuove la cultura dell’incontro, insistendo particolarmente sulla necessità per il cristiano di ‘incontrare Cristo’. Volendo individuare ulteriori agganci: non è vero forse che questo concetto trova la sua matrice più solenne nell’affermazione del Concilio Vaticano II, esattamente nel n. 22 della Gaudium et Spes, quando si afferma che «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo’», e che «Cristo, nuovo Adamo, svela pienamente l’uomo a se stesso»? Dunque, proprio in Cristo, nuovo Adamo, si può essere ‘persone nuove’. Vincendo un po’ di timidezza, potremmo aggiungere: ‘solamente’ in Cristo, nuovo Adamo, si diventa persone nuove.

Essere in Cristo. Una domanda che immagino spunti a fior di mente è sicuramente questa: Ma, cosa vuol dire ‘in Cristo?’.  Qui il discorso si fa più impegnativo. È certo che non si tratta di una formula stereotipa, fissata dai canoni ecclesiastici, che bisogna recepire e non necessariamente capire. Nella dossologia della Messa, al termine del Canone, il sacerdote conclude: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo’». Quell’in indica certamente un fatto dinamico, una sorta di inserimento nella vita stessa di Cristo; si tratta cioè di un’ incorporazione, una specie di immedesimazione, conformazione a Cristo, di avere gli stessi sentimenti di Cristo, per dirla con san Paolo. Non è un semplice accostamento (a Cristo), come potrebbe far pensare invece la preposizione con. O di uno schierarsi a favore di (Cristo), come potrebbe evocare la preposizione per. Sono considerazioni, se volete semplici, forse semplicistiche, ma che tuttavia possono esprimere l’intensità di questo ‘in Cristo Gesù’.

In realtà, noi siamo convinti e constatiamo che nulla di più nuovo, nulla di più bello, nulla di più vero accade nel mondo, di quanto già non dica il santo Vangelo: ‘I cieli e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno’. Quale più novità di questa? La verità è che quando ci lasciamo plasmare dalla sua Parola, quando ci lasciamo trasformare dai suoi insegnamenti, noi diventiamo ‘nuovi’ e diventiamo un tutt’uno con Lui. Possiamo meglio capire così l’espressione di san Paolo: ‘Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me’. Addirittura l’Apostolo rovescia il rapporto: ‘non io in Lui, ma Lui in me’. Avviene quanto si verificò quella volta che quell’intellettuale ateo, andò a trovare il santo curato d’Ars, di cui sentiva tanto parlare. Tutto scettico, si avvicinò, lo incontrò e dopo se ne tornò sconvolto, comunicando agli altri scettici come lui: ‘Ho visto Dio in quell’uomo!’.

Corresponsabili. Mi sono intrattenuto sulla prima parte del titolo. Ma non ho dimenticato la seconda parte: Corresponsabili della gioia di vivere.

La ‘corresponsabilità’ non può non richiamarci il tema del recente Convegno Ecclesiale Regionale, svoltosi a San Giovanni Rotondo, che ha dato come frutto la Nota pastorale della CEP Cristiani nel mondo Testimoni di speranza. I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi (2012). Al n. 21 del documento si afferma: «Cresca nelle nostre comunità ecclesiali la corresponsabilità che si esprime tanto nelle forme istituzionali previste dalla Chiesa universale con gli organismi di partecipazione, quanto in quelle carismatiche antiche e nuove suscitate dallo Spirito: pensiamo ai terz’Ordini e alle aggregazioni storiche, ma anche ai movimenti e alle nuove comunità».

Possiamo notare che per indicare l’azione dei laici nella Chiesa si è passati dalla ‘collaborazione’ alla ‘corresponsabilità’. Nel linguaggio siamo cresciuti, un po’ meno nella realtà.

Benedetto XVI in un discorso all’Azione Cattolica (4 maggio 2008) sottolinea: «Assumendone il fine apostolico generale, in spirito di intima unione con il successore di Pietro e di operosa corresponsabilità con i pastori, voi incarnate una ministerialità in equilibrio fecondo tra Chiesa universale e Chiesa locale, che vi chiama ad offrire un contributo incessante e insostituibile alla comunione». E in un messaggio al Forum internazionale dell’Azione Cattolica, aggiunge: «I laici, vanno considerati non come collaboratori del clero, ma come persone realmente corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa».

«L’Azione cattolica ‘ recita lo Statuto ‘ per realizzare il proprio servizio alla costruzione e missione del popolo di Dio, collabora direttamente con la Gerarchia [‘], in un rapporto di piena comunione e fiducia [‘] e offre con responsabile iniziativa il proprio organico e sistematico contributo per l’unica pastorale della Chiesa» (art. 5). Mons. Brambilla in un recente intervento sull’associazionismo laicale dice: «Corresponsabile è colui che non solo dà una mano ma ha un sogno comune, costruisce un progetto insieme, condivide una stessa passione, si prende le responsabilità in proprio, arrischia la propria autonomia nella profezia del mondo. I profeti del NT non sono profeti isolati. Lo possono essere solo dentro un’appartenenza comune, certo con una responsabilità personale, ma all’interno dell’atmosfera ossigenante della coscienza ecclesiale».

‘della gioia di vivere.  Un’espressione di sapore paolino. È l’Apostolo Paolo infatti che  nella seconda lettera ai Corinzi definisce così la missione dell’apostoli: Siamo collaboratori della vostra gioia (2Cor 1,24).

A questo riguardo non può mancare il riferimento alle numerose occasioni in cui papa Francesco ha insistito sulla dimensione della gioia, componente essenziale dell’essere cristiano.

‘La Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia!’ (Angelus, 15 dic. 2013). Ancora: ‘Il cristiano è un uomo e una donna di gioia’. Espressioni come queste sono ormai innumerevoli. E poi ci ha regalato l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, nella quale c’è dentro la summa del pensiero di papa Francesco sulla Chiesa di oggi.

‘Ma quella del vangelo non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio (Angelus, 15 dic. 2013). La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà a Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre la sua promessa (Ibid.). La gioia vera rimane anche nella prova, nella sofferenza. Perciò ‘ dice ancora il Papa ‘ quando il cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù’ (Ibid.).

Eppure l’aspetto della gioia non è qualcosa di nuovo. Come avviene per altri aspetti, papa Francesco dice le cose in maniera nuova, e al tempo giusto.

Già Paolo VI aveva scritto quella bellissima esortazione apostolica Gaudete in Domino (1975) in cui  annotava che la malattia più diffusa oggi è la depressione. Inoltre, egli metteva in evidenza che spesso oggi si confonde la gioia con il piacere. In effetti, al grande bisogno di gioia, la società attuale risponde con l’industria del divertimento. Ma il riferimento fondamentale riguardo la gioia sono le parole del Vangelo. Dice Gesù nel discorso di commiato nel clima denso di mistero dell’ultima cena: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15, 11). Il cristianesimo che spesso è visto come religione della sofferenza e della croce, è, invece, prima di tutto religione della gioia. Una grande testimone, madre Teresa di Calcutta diceva: «La nostra gioia è il mezzo migliore per predicare il cristianesimo».

Nello specifico dell’AC. Fino ad ora, attenendomi al titolo dell’Assemblea, sembra che il discorso sia andato per tangenti e che non sia entrato nello specifico dell’Azione cattolica. Non ci vuole molto per immaginare una domanda nella vostra mente. Sì, caro don Gino, ma come calare questi concetti nella nostra realtà? Ed un’altra, ancora più stringente: Cosa ti aspetti dall’Azione cattolica della nostra diocesi? Come la vorresti?

Naturalmente, non posso esimermi dal rispondere, anche se è difficile racchiudere in una breve sintesi la variegata situazione riguardo alle associazioni. Indico, pertanto, alcuni punti che sottopongo alla vostra attenzione.

a) Innanzitutto vorrei che foste certi della mia gratitudine per quello che siete e per il tanto che già fate. Lo dico a voi associati di oggi, e lo dico a voi anche come eredi di una ormai lunga storia associativa diocesana, che ha segnato profondamente la vita ecclesiale del nostro territorio. In questi anni del mio servizio episcopale ho potuto costatare e sperimentare il vostro impegno generoso, la vostra fedeltà e il vostro amore alla Chiesa.

b) Proprio in considerazione di questa positiva esperienza vissuta con voi, mi preme richiamare brevemente quello che è un pilastro della scelta dell’AC:  la cura di una vocazione laicale specifica, e cioè avvertire come proprio il fine apostolico generale della Chiesa e in forma associata concorrere alla realizzazione dell’azione del Vescovo in un impegno di corresponsabilità, in vista di un personale impegno di santificazione da perseguire nella vita di ogni giorno. L’AC chiede non solo aderenti ma anche credenti. La qual cosa domanda alcune scelte prioritarie: una sicura e solida formazione attraverso una regola spirituale personale; una formazione che porti ad una comunione associativa e che sa aprirsi alla dimensione diocesana (la formazione non è solo questione di contenuti. È vita, incontro e costruzione di legami tra le persone); un radicamento nelle parrocchie caratterizzato da uno stile di dialogo (con l’assistente, con gli altri gruppi ecclesiali, con altre realtà che vivono la parrocchia), evitando chiusure, antagonismi e steccati.

Mi piace pensare ad una Azione cattolica che sappia coniugare azione e contemplazione, prossimità e ascolto, presenza e interiorità.

Mi piace pensare ad un’Azione cattolica pronta, entusiasta nel trasmettere i messaggi positivi del vangelo in un mondo che cambia. Che viva la spinta missionaria sul sentiero della testimonianza.

Mi piace pensare ad un’AC che vede nei sacerdoti degli alleati e non degli ostacoli; che superi una certa diffidenza nei loro confronti. Ed anche nel Vescovo vorrei che si vedesse un amico, non uno che frena entusiasmi o impedisce la libertà di esprimersi.

Tutto questo, forse, dipende dalla comprensione vera del significato dell’associarsi.

Ho trovato molto interessante ed efficace quanto si afferma in proposito nel recentissimo fascicolo predisposto dalla Presidenza nazionale dell’AC in preparazione all’Assemblea. Tale fascicolo che fa parte di una collana, reca il titolo: ‘AC: missione possibile. Aderire: credere nelle relazioni‘ (ed. AVE, Roma 2013).

«Un’associazione è qualcosa di diverso da una semplice aggregazione. Associarsi parla di legami, di una rete di persone, di relazioni. Non è uno stare insieme solo per vivere una serie di appuntamenti o perché ‘l’unione fa la forza’ in tempi difficili. Tutto questo, per quanto vero, non basta per fare associazione. Se della nostra AC vedessimo solo il carattere funzionale-organizzativo, ne sminuiremmo il senso, e con esso il significato stesso dell’adesione. ‘Aderisco perché partecipo a certe iniziative o partecipo perché aderisco?’: è questa la domanda da porsi; cioè, se viene prima di tutto la scelta di un impegno personale o se l’adesione è solo un biglietto di ingresso da pagare per avere accesso a certi, pur belli ed efficaci, servizi ecclesiali.

Occorre dunque riflettere su quale idea abbiamo noi in prima persona della nostra AC e chiederci che idea abbiano i soci dei nostri gruppi, gli educatori e i responsabili educativi.

In secondo luogo, interroghiamoci su come presentiamo l’AC all’esterno del gruppo o dell’associazione parrocchiale e diocesana. Una cartina di tornasole consiste certamente nel chiedersi se l’associazione parla attraverso la vita dei suoi soci, come singoli e come gruppo, o se si racconta solamente attraverso iniziative ed eventi, piccoli o grandi che siano.

Quando mettiamo prioritariamente l’accento su questo aspetto funzionale-organizzativo dell’AC, rischiamo di perdere quegli elementi che la rendono non solo un’aggregazione ma una vera associazione, una scuola di relazioni e un’esperienza di comunità: un’immagine di Chiesa e un tratto del volto di Cristo per il mondo».

Sicuro della vostra piena disponibilità a lavorare insieme per il Regno di Dio, in questa nostra amata Chiesa che è in Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, sulla scia di una storia associativa diocesana di grande significato, auguro a voi tutti buon lavoro e buon cammino.