I fatti sono ormai noti. Lo scorso martedì 20 gennaio, circa quaranta persone, in maggioranza donne, hanno raggiunto la sede comunale di Molfetta, nella zona 167, e inveendo, minacciando, battendo pugni contro porte e vetrate, hanno cercato di bloccare tutte le uscite della struttura comunale. Oggetto della protesta dei manifestanti era l’esclusione dal beneficio del contributo economico, nell’anno solare in corso, per effetto del regolamento approvato dal Commissario Barbato, che prevede una rotazione nell’assegnazione del contributo, escludendo coloro che già ne hanno beneficiato nel 2014. Tensioni già manifestate in modo meno plateale lo scorso giugno, quando famiglie anche con capofamiglia in condizioni di disoccupazione e con figli a carico, si sono ritrovate tagliate fuori dai circuiti assistenziali, per di più con numerose spese da pagare.
L’amministrazione comunale, ha così deciso di cambiare il sistema assistenziale del Comune di Molfetta. Non più contributi di mantenimento, ma attività di sostegno al reddito delle famiglie e dei soggetti in grave disagio economico, finalizzate all’inclusione sociale. Così, alcune centinaia dei nuclei familiari che avevano beneficiato del contributo economico continuativo nel primo semestre 2014, hanno percepito delle borse lavoro partecipando ai “cantieri di servizio”, cioè svolgendo lavori di piccola manutenzione o lavori di pulizia e vigilanza presso strutture pubbliche (uffici, scuole…).
Qualcosa deve essersi però inceppato in questo meccanismo: di qui le proteste.
Al Sindaco, all’Assessore ai servizi sociali e a tutta la giunta di Molfetta va la nostra incondizionata solidarietà. La condanna di queste forme violente di protesta deve essere netta senza opportunistici distinguo di becero carattere propagandistico elettorale. Una politica incapace di esprimere il proprio confronto dialettico sul bene comune e sulla persona, sui binari propri della politica, non ha più alcuna credibilità istituzionale.
L’attenzione alla dignità della persona è una delle priorità che vede anche la Chiesa tutta in prima linea, attraverso le sue sedi Caritas, i progetti, le associazioni ed i movimenti assistenziali e di promozione del lavoro operanti a livello parrocchiale, cittadino e diocesano (come testimoniano le cifre elargite dalla diocesi e derivanti dall’8perMille dell’Irpef per l’anno 2014, dati di prossima pubblicazione su Luce e Vita).
Su questo terreno, mai pago deve essere lo sforzo di tutti gli operatori del sociale nell’attuare politiche più eque e di promozione della persona che utilizzino modelli di sussidiarietà circolare in cui enti pubblici, imprese, e terzo settore devono interagire tra loro in maniera organica e sistematica, su una base di parità, per arrivare a definire le cose da fare e la loro realizzazione.
Eppure non si può pensare di cambiare continuando a fare sempre le stesse cose. Non si possono accampare diritti dalla società senza attribuirle alcun dovere. Questo a maggior ragione nel presente momento di crisi. Parola che deriva dal greco “Krisis”, sostantivo dal verbo Krino, ossia separo, decido. Genericamente indica un momento che separa un modo di essere o una serie di fenomeni da altro differente. La crisi quindi è innanzitutto un momento di cambiamento, un’occasione importante per ridisegnare il nostro futuro, e ridisegnarlo a misura d’uomo. Ma questo richiede un paziente cammino intrapreso con coraggio, dialogo e sacrificio. Altrimenti, come già accaduto al popolo di Israele in fuga dall’Egitto verso la terra promessa, la manna, l’acqua, le quaglie, il pane, non bastano, tutto porta a rimpiangere le cipolle d’Egitto, il passato di una schiavitù beata e incosciente, dove il futuro non fa problema, tanto, bene o male, si mangia e si beve ogni giorno.
Rispetto, dialogo, concretezza
di Onofrio Losito
