Dieci anni di letizia nell’annuncio del vangelo

Intervista al Vescovo, nel decennale della sua ordinazione, 24 settembre 2017
Interventi vari

«Vivere con gioia la letizia del Vangelo insieme a tutta la comunità diocesana. È così che vorrei riassumere i miei primi dieci anni di episcopato».

Parole vitali quelle del nostro Vescovo Domenico che festeggia dieci anni di episcopato. I primi otto nella diocesi di Lucera-Troia, gli ultimi, anzi i primi due, in quella di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi.
Parole riassuntive del suo episcopato, le stesse presenti sul suo stemma. Un motto vissuto quotidianamente, tutt’altro che statico o di facciata. Esso sprona il cristiano a compiere e a vivere la propria missione, come singolo e come componente di una comunità credente.

Tanti ricordi, tanti momenti, tanta gente incontrata sulla sua strada. Ma tutti vissuti con una certezza al suo fianco: il Signore.
«Senza dubbio è il mio motto la sintesi del ministero episcopale sin qui compiuto. Con l’ordinazione (avvenuta il 22 settembre 2007, a seguito della nomina da parte di Papa Benedetto XVI il 30 giugno dello stesso anno) ho impostato la mia vita al servizio e nel servizio. Il Signore Gesù ci dice che “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”, metterla cioè al servizio del prossimo. E mi sovviene anche ciò che diceva ai giovani Raoul Follereau, ovvero che non c’è modo più bello per investire sé stessi nella vita che servire gli altri.

Personalmente lo trovo quasi naturale, mi sento uno strumento nelle mani del Signore. Egli ti rialza quando cadi e ti consola quando sei afflitto».

Ci saranno stati anche momenti forse meno gioiosi in questo suo episcopato…
«Momenti di paura e sgomento puri proprio no, ma situazioni nelle quali senti davvero di aver perso la bussola, di non essere adatto alla missione che compi nella diocesi, sì. Il vescovo è uomo come gli altri, è creatura di Dio e dunque non mancano anche per lui momenti negativi. Specialmente quando si prendono decisioni per il bene della diocesi e della comunità, ma esse vengono recepite, all’esterno, fra la gente o dai mass media, come qualcosa di negativo o di punitivo. E quest’ultima fattispecie fa soffrire molto».

Dopo questi dieci anni di episcopato si sente spiritualmente più vicino a Dio?
«Con l’episcopato si vive sì la pienezza del sacerdozio, ma spiritualmente si è sullo stesso livello di un cristiano che prega. Mi viene in mente quel concetto così chiaro espresso da Sant’Ignazio di Loyola il quale sosteneva che quanto più un’ani- ma si avvicina a Dio, tanto più è il diavolo ad avvicinarsi all’anima. Questo per dire che vani sono i tentativi di voler guardare il volto di Dio, di spiegare il progetto di Dio su di noi tutto con le nostre categorie, quelle umane. Così come Mosè si copre il viso, anche noi dobbiamo affidarci completamente alla volontà di Dio, la stessa che invochiamo nella preghiera del Padre Nostro».

Il tutto sempre nella letizia. Quanto essa è funzionale all’annuncio del Vangelo?
«Direi totalmente, al cento per cento. La gioia è una causa, ma soprattutto un effetto del vivere da cristiani questa vita. Essa deriva da un rapporto personale con il Signore che tutti noi instauriamo. Un rapporto spesso fatto di attese da parte nostra che non devono distoglierci dal vivere il Vangelo quotidianamente; anche Dio ha i suoi tempi e di noi non si dimentica. Ecco, in questo modo sento di essermi configurato a Cristo già con il sacerdozio e ancor più ora con l’episcopato».

Servire Domino in laetitia. Ecco il servizio, appunto, richiama il tema dei poveri.
«Quello dei poveri rappresenta uno dei temi principali delle Scritture. È da questo che si deve partire per affrontare tali problematiche. Il Vescovo fa sue le istanze di tante persone che con tutti i mezzi di comunicazione chiedono aiuto. È mia premura ribadire che in diocesi ci sono numerosi punti di riferimento e su questi vorremmo lavorare per migliorarli, piuttosto che orientarci verso la creazione di strutture nuove. L’apporto costante della Caritas è fondamentale oggigiorno. Come desumiamo dalla Lettera a Diogneto il cristiano è nel mondo come l’anima nel corpo.

E dunque, questa sollecitudine verso chi ha più bisogno deve essere emanazione di vicinanza al Signore che quotidianamente noi sperimentiamo. Siamo chiamati a portare ciò che abbiamo, a donare ciò che siamo. Per questo mi sto prodigando affinché i nostri centri Caritas siano una vera realtà e non una parvenza di efficienza o di omologazione, per così dire, esteriore. Essi siano una risposta ai bisogni di condivisione del tempo, delle risorse e delle energie che ognuno di noi può dare. Sempre nella massima semplicità, “con i piedi per terra” per usare un’espressione attuale».
La chiesa diocesana se ne occupa con una serie di iniziative: qual è lo stato di queste e quali sono le iniziative per il futuro?
«Ci sono le Caritas parrocchiali della diocesi, la Caritas diocesana, la struttura messa in piedi presso la parrocchia San Domenico, ed un’altra sta sorgendo. A Ruvo le Suore Salesiane dell’Istituto “Sacro Cuore” insieme alla C.A.S.A. – così come a Terlizzi la comunità di “Casa Betania” – opera in tal senso. È vero anche che a Giovinazzo non c’è una vera e propria struttura di mensa, ma questo non significa che i poveri non siano ascoltati, anche lì c’è una fervida attività. Va mantenuta la sinergia fra tutte le associazioni, religiose e non, che vogliono davvero aiutare chi ha bisogno, prescindendo dalla provenienza o da altri connotati fisici».
Una mensa che prima che essere fisica è soprattutto eucaristica.
«Il Signore ci chiama alla sua Mensa donandoci la Parola. Nel quarto capitolo del Vangelo secondo Matteo apprendiamo ciò. E mi preme ricordare l’incontro che il Signore tiene al Cenacolo. Egli, in questa agape, condivide questo momento per i discepoli lì presenti e per tutta l’umanità. È una Mensa dalla quale non soltanto riceviamo qualcosa di imprescindibile, ma è un agape che ci sprona ad esercitare il perdono, il servizio, a lavare i piedi affinché, come dice Gesù “Voi stessi date da mangiare”. Oggi più che mai la fame e la sete sono quelle riferite al perdono, come all’accoglienza, a sentirsi considerati nella società. E non servono gesti eclatanti, anche scambiare due chiacchiere può fare tanto. In più, dal Giubileo della Misericordia, nelle nostre quattro città ci sono i centri di adorazione eucaristica permanenti affinché la Chiesa vada verso “le periferie esistenziali”, per usare un’espressione del nostro Papa Francesco».
E in quest’ottica si pone l’attività fiorente dei centri di ascolto.
«Naturalmente anche questi centri raccolgono istanza da parte di minori, di famiglie o di singoli che da un momento all’altro si trovano sul lastrico in tutti i sensi e non danno più valore alla vita. Un’attività anch’essa molto discreta e percepita nel silenzio contemplativo. Ci poniamo, allora, come continuatori di ciò che già esiste e funziona, innovando sempre più, piuttosto che moltiplicare».
Strutture che nella maggior parte sono nate durante l’episcopato di don Tonino Bello, del quale la diocesi celebrerà il prossimo anno il venticinquesimo dal dies natalis.

«È proprio in quest’ottica di continuazione che celebreremo questo importante anniversario. Senza dimenticare la preghiera alla quale siamo chiamati tutti affinché la causa di canonizzazione proceda verso la beatificazione, abbiamo presentato qualche giorno fa un progetto dedicato alle scuole e presto daremo vita ad altre iniziative. Il tutto si inserisce sulla scia del prossimo Sinodo dei Vescovi voluto dal Papa e che avrà come tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, temi più che mai attuali e molto cari anche al nostro compianto vescovo. Anche il convegno pastorale diocesano, del 20-21 settembre, ha avuto come tema l’annuncio del Vangelo ai giovani che oggi diventa imprescindibile».
Con quali coordinate proseguirà il suo episcopato?
«Ribadendo il totale affidamento nelle mani del Signore, vorrei vivere la novità del quotidiano, fare in modo nuovo le cose di ogni giorno. Vivere davvero con le antenne direzionate verso la gente, verso l’ascolto, vorrei davvero continuare a “consumarmi per il prossimo”, dare tutto me stesso per essere un fermento nella massa. Da quando sono in questa diocesi spesso celebro la Santa Messa al mattino non nella cappella privata, che ho qui in episcopio, ma in quella della Cattedrale proprio come un pastore che sente le esigenze del suo gregge: un progetto di intreccio di vita con la vita degli altri».

+ Don Mimmo Cornacchia, Vescovo

Molfetta
24-09-2017