“L’ultima predica” – Inaugurazione del centro

di don Tonino Bello

Carissimi,
qualcuno ha detto che la carità è come una messa solenne, che però va celebrata senza suono di campane. Non sopporta, cioè, né i sussurri del compiacimento, né le grida della teatralità devota, e tanto meno, il chiasso delle esposizioni pubblicitarie. Anzi, ama a tal punto il silenzio, che questo diviene la condizione indispensabile perché il dono non si tramuti in offesa.
Già Alessandro Manzoni parlava di quel ‘tacere pudica, che accetto il ti fa’. E i Santi, prima di lui, ammonivano:’fate la carità, in modo che i poveri ve la possano perdonare’. Se, però, portare a conoscenza della nostra comunità diocesana un fatto carico di speranza, come quello costituito dalla inaugurazione del Centro d’Accoglienza della Caritas, può rappresentare un incoraggiamento per tutti, penso che sia perdonabile, almeno una volta tanto, quel tasso eccedente di esibizione che, a essere sinceri, sembra un po’ troppo parente stretto della vanagloria.
D’altra parte, Gesù, che ci ha esortati a non far sapere alla mano destra quello che fa la sinistra, si è detto pienamente d’accordo sull’opportunità che gli uomini debbano conoscere le nostre opere buone e, per esse, siano indotti a glorificare il Padre che è nei cieli.
A costo, pertanto, di rischiare un piccolo peccato d’orgoglio, lodiamo il Signore perché pare che voglia prendere sul serio quella preghiera con cui tante volte l’abbiamo implorato: ‘donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli, fa che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti’.
Il Centro d’Accoglienza vuole rispondere proprio a questi bisogni.
Essere, anzitutto, l’occhio che abilita la comunità ecclesiale a ‘vedere’. Non possiamo nasconderci che, talvolta, preoccupanti forme di miopia ci hanno impedito dì scorgere Lazzaro perfino sul limitare delle nostre chiese. Che conclamati difetti di strabismo hanno provocato dissociazioni incredibili tra l’urgenza della domanda e la pigra lentezza delle nostre risposte. E che accentuate anomalie daltoniche non ci hanno permesso tempestivamente di distinguere, tra i tanti colori del caleidoscopio umano, il colore sanguinante della povertà.
In secondo luogo, esprimersi come laboratorio da dove partano quegli ‘input’ intelligenti e carichi di passione che diano al nostro impegno cristiano cadenze di concretezza, riscattino le nostre parole dal pericolo della sterilità, e mutino finalmente le pietre del nostro egoismo nel pane, caldo di forno, della solidarietà e della condivisione.
Offrirsi, infine, come la stazione provvisoria per tutti quei casi in cui la progettualità organica deve scendere a patti con l’emergenza, i disegni lungimiranti devono abbassarsi ai livelli del pronto soccorso, e le voglie eroiche di risanamento in radice delle sofferenze del prossimo devono tradursi nei rimedi ingenui dell’olio e del vino del buon samaritano. Il Signore ci liberi dall’appagamento dei pannicelli caldi. Ma ci eviti anche la superbia di disdegnarli, quando essi sono l’unico espediente perché il fratello non muoia assiderato. Il Risorto ci metta in cuore una gran voglia di testimoniarlo, cercando il suo volto nelle sembianze del povero.
Abbandoniamoci con gioia a questo annuncio fatto con le opere.
Forse è l’ultima predica che il mondo contemporaneo è disposto ancora ad ascoltare fino in fondo.
          Un affettuoso saluto.
                                                                                      Vostro
                                                                       ‘ Don Tonino, Vescovo