L’unione con la diocesi di Ruvo

Durante gli ultimi anni di episcopato, Garzia fu nominato amministratore apostolico di Ruvo e Bitonto, sedi rimaste vacanti dopo la rinuncia dell’anziano vescovo Aurelio Marena (1950-1978). La nomina rappresentò un precedente alla successiva unione di Ruvo con Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi.
Le pretese origini apostoliche della predicazione del vangelo in Ruvo e della costituzione della comunità locale sono state rigettate dalla critica, insieme al trasferimento del leggendario vescovo ruvese Cleto alla sede di Roma. Sembra probabile, invece, che l’annuncio evangelico sia giunto a Ruvo – nota in età ellenistica e indicata dall’Itinerarium Burdigalense (IV sec.) come civitas posta lungo l’Appia Traiana – attraverso i normali veicoli commerciali che dall’oriente facevano capo a Brindisi. Altrettanto probabile è l’elevazione della comunità locale alla dignità di sede vescovile fra VI e VII sec. A quest’epoca si fa risalire la chiesa di San Giovanni Rotondo con il suo battistero, forse la prima cattedrale della città. Non si conoscono nomi di vescovi di Ruvo anteriormente all’XI sec., ma la città fu compresa fra le diciotto località che, per volontà di Giovanni XIX (?), avrebbero formato la metropolia di Bari e Canosa. Guillelmus (o Guibertus), vescovo di Ruvo, intervenne alla dedicazione della nuova basilica di Montecassino (1 ottobre 1071). La lista dei vescovi risulta, comunque, lacunosa, almeno fino alla metà del XIII sec., quando fu portata a termine la costruzione della nuova cattedrale, dedicata all’Assunta.
Sembra che la cattedrale sia rimasta l’unico polo della vita religiosa della popolazione. Presso di essa operava il Capitolo, rimasto detentore della cura animarum della città-diocesi fino agli inizi del Novecento. Altre chiese e cappelle erano disseminate sul territorio diocesano, ma non sono documentati insediamenti monastici. É nota una domus dei Templari (XIII sec.) e un’altra dei Giovanniti (XIV sec.), ma soltanto a metà del Quattrocento si dette inizio alla costruzione della chiesa e del convento di Sant’Angelo, affidati agli Osservanti. La chiesa rurale di Santa Maria di Calendano assunse una certa rilevanza per la pietà dei Ruvesi, quando incominciò ad essere meta dei loro annuali pellegrinaggi (25 marzo).
Durante i secoli dell’età moderna la città-diocesi continuò a vivere nella ristrettezza della sua realtà. Ruvo era feudo dei Carafa ed anche la diocesi appariva essere diventata dominio della famiglia de Mirto. Tre vescovi di questa nobile famiglia napoletana ressero la cattedra ruvese dal 1512 al 1589 (depauperandone i beni) e fino al 1807 si susseguì una serie di episcopati dalla durata media alquanto breve, con poche eccezioni. D’altra parte le rendite della Mensa vescovile si rivelano esigue (oscillando fra 700 e 400 ducati) e spesso i contrasti con il clero e i feudatari impedirono un’azione efficace e duratura da parte dei vescovi riformatori. Infatti, furono celebrati soltanto i sinodi convocati da Gaspare Pasquali (1595) e da Domenico Galesio (1676-1679; gli atti furono bruciati, dopo la sua morte, dal vicario capitolare per cancellarne la memoria). La città-diocesi, inoltre, subì un drastico decremento demografico a causa delle epidemie e passò da 10.000 abitanti (fine Cinquecento) a 4.000 (1725) per risalire a 5.200 (1756). Il clero cittadino, facente capo al Capitolo, contava in media 150 unità, ma le modeste risorse economiche non consentirono l’erezione del seminario. Tuttavia sorsero nuove chiese e cappelle di patronato laicale oppure affidate a confraternite, un ospizio per i pellegrini e tre Monti di Pietà. Nel frattempo furono fondati i conventi dei Domenicani (San Domenico, 1560) e dei Cappuccini (Santa Maria Maddalena, 1607) e nel 1613 si iniziò a costruire il monastero delle Benedettine di San Matteo.
Il lungo episcopato di Pietrangelo Ruggeri (1759-1807) segnò il passaggio all’età contemporanea e si concluse con l’avvento della dominazione francese. La sede rimase vacante fino al concordato fra Pio VII e Ferdinando IV, ed il 27 giugno 1818 fu unita aeque pincipaliter a Bitonto; e sebbene Ruvo continuasse ed essere nominata per prima nella titolazione episcopale, la residenza principale dei vescovi restò a Bitonto (Ruvo contava 10.000 abitanti mentre Bitonto 18.000). A seguito delle soppressioni (1806), gli Scolopi furono chiamati (1821) ad occupare, con le loro scuole, il convento di San Domenico, ma anch’essi scomparvero, insieme alle Benedettine, per effetto delle soppressioni postunitarie (1866). Sopravvissero invece le poche confraternite, ridotte a meri fini cultuali e devozionali, e così come avvenne nelle altre città per effetto delle leggi promulgate durante il decennio francese, in parte confermate dopo il ritorno dei Borbone e successivamente modificate dai governi post-unitari, i luoghi pii – tramite cui veniva esercitata buona parte dell’attività caritativa locale – furono secolarizzati e trasformati in enti di beneficenza pubblica con lo scopo di modernizzare il sistema socio-assistenziale.
Sul finire dell’Ottocento, brillò la figura spirituale di mons. Luigi Bruno (1884-1893), mentre si verificò un primo processo di estensione e di nuova ripartizione della cura animarum, in conseguenza dell’incremento demografico e dell’espansione edilizia. Il vescovo Pasquale Berardi (1898-1921) istituì le tre vicarie perpetue della Cattedrale, del Redentore e di San Giacomo (1904), poi trasformatesi in parrocchie. Altrettanto accadde fra il 1925 e il 1979, quando furono istituite altre cinque parrocchie, tra cui quelle di San Domenico e di San Michele, ex chiese conventuali.

Luigi Michele de Palma