Dimensioniamo i numeri, non la qualità della scuola

di Luigi Sparapano

 

La Legge 111/2011, recante ‘Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria’ introduce, all’articolo 19, provvedimenti miranti alla ‘Razionalizzazione della spesa relativa all’organizzazione scolastica’; in particolare il comma 4, dichiara la necessità di riorganizzare il sistema scolastico con la creazione di Istituti comprensivi che raggruppino la scuola dell’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado. Lo stesso comma giustifica il provvedimento intendendo così ‘garantire un processo di continuità didattica nell’ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall’anno scolastico 2011-2012’. Il parametro fissato per far acquisire autonomia a detti istituti comprensivi è ordinariamente di almeno 1.000 alunni.

 

Il 26 gennaio scorso, pur avendo la Regione Puglia impugnato la legge 111, l’assessore regionale al Diritto allo Studio e Istruzione, Alba Sasso e la (ormai ex) dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale, Lucrezia Stellacci, hanno presentato in conferenza stampa il Piano regionale di dimensionamento della rete delle istituzioni scolastiche varato dalla Giunta regionale pugliese, che si sviluppa in due anni: nel primo anno sono state indicate le verticalizzazioni di più semplice attuazione, mentre nell’anno successivo quelle più complesse. Questo per tenere in considerazione il più possibile la qualità del servizio con le esigenze dell’utenza e la tutela dei posti di lavoro, nonchè le reali situazioni logistico organizzative presentate dagli Enti locali. Al momento in cui scriviamo si ha notizia, non accertabile, di un congelamento totale del piano regionale. Ma sulla base del piano presentato quale sarebbe o sarebbe stato il disegno nelle nostre città?

Molfetta: 5 istituti di cui 4 comprensivi con 1475, 1402, 1099, 979 e 1185 alunni.

Giovinazzo: 2 istituti comprensivi; di 1023 e 981 alunni (piano rinviato, su richiesta del Sindaco).

Terlizzi: 3 istituti di cui 2 comprensivi, di 1024, 1029 e 1025 alunni, in un percorso triennale.

Ruvo: 3 istituti comprensivi di 1015, 804 e 909 alunni, con lo sdoppiamento della scuola secondaria ‘D. Cotugno’; anche questo dimensionamento è stato rinviato, su richiesta del Sindaco. Quest’ultimo dimensionamento risulta forse il più problematico perchè l’accorpamento avrebbe previsto anche l’annullamento di una scuola secondaria, la più storica su Ruvo, solo perchè disposta su due plessi adiacenti, quasi due ali di uno stesso stabile, per dar luogo a due scuole medie da abbinare alle primarie e alle scuole dell’infanzia.

Mi si perdoni il coinvolgimento personale, in quanto docente, ma sarebbe una soluzione che tradirebbe profondamente il presupposto della legge 111/2011 e cioè quello di garantire una migliore continuità didattica nel primo ciclo di istruzione, in quanto porterebbe ad una ripartizione dei corsi, allo  smembramento  del Collegio docenti e ad una complessa opera di attribuzione di spazi, beni, attrezzature… con un inevitabile decadimento della qualità dell’offerta formativa che, secondo le ultime rilevazioni Invalsi, vedono i risultati della ‘Cotugno’ ben oltre la media non solo del Sud, ma dell’Italia stessa.

La successiva determinazione regionale porterà, nel prossimo anno, ad una fase transitoria che vedrebbe le due scuole medie in reggenza allo stesso dirigente. L’una e l’altra situazione risultano in ogni modo frutto di una poco ponderata decisione in fase preliminare. In realtà non sono stati accolti, ad esempio, i pareri dei Collegi Docenti che si erano espressi per l’istituzione di due istituti comprensivi, soluzione assolutamente appropriata per Ruvo, data l’equilibrata distribuzione delle scuole.

Si sono avviate, intanto, azioni di pacata contestazione da parte di docenti e genitori e lo stesso Sindaco Ottombrini ha dichiarato di voler avviare un tavolo di confronto per giungere a soluzioni condivise.

Ritengo che provvedimenti del genere, che segnano in profondità e nel tempo il tessuto sociale e culturale di una città e dei suoi più giovani abitanti, non debbano essere determinati solo dalla ‘matematica’ dei numeri e delle finanze. É già deprimente, sul piano pedagogico e culturale, che la legge abbia mascherato l’esigenza di fare ancora economia sulla scuola con il pretesto della continuità didattica; da anni le scuole primarie e medie tentano di strutturare iniziative di continuità, molto estemporanee e parziali, con la subdola, e per certi versi inevitabile, finalità di accaparrare iscrizioni. Parlando di numeri, poi, bisognerà prevedere delle figure di sistema adeguatamente valorizzate, che garantiscano il funzionamento di ciascuna istituzione del comprensivo, dal momento che i dirigenti potranno essere presenti a fasi alterne in ciascuna sede. E tanti altri saranno i problemi da prevedere e affrontare.

Ma, prima e oltre la ‘matematica’, il dimensionamento dovrà basarsi anche sulla ‘pedagogia’ e sulla ‘didattica’; potrà e dovrà essere l’occasione per una riflessione, seria e libera da condizionamenti, che è urgente per superare o accorciare il gap che persiste nel passaggio dalle primarie alle medie, tanto dal lato degli alunni che da quello dell’impostazione didattica dei docenti.

Ancora, il dimensionamento dovrà tenere conto anche della ‘geografia’ del territorio cittadino, della ‘sociologia’ determinata dalle evoluzioni demografiche ed abitative e, in definitiva, della ‘storia’ delle istituzioni scolastiche; occorre scongiurare il rischio di ridurle a ‘contenitori’ da accorpare e scorporare, ma fare di tutto perchè ad esse venga restituito il ruolo di organismo comunitario che trasmette e tiene alto il valore della ‘cultura’, baluardo ancora insostituibile per l’educazione e la formazione della persona.